C’è un’aria di disincanto che aleggia ora nei corridoi dello studio cinematografico Lionsgate, un anno dopo l’entusiasmo sfrenato con cui annunciò la sua partnership con la startup Runway. Il piano era audace: addestrare un modello di intelligenza artificiale sulla libreria cinematografica di Lionsgate per generare contenuti — trailer, scene, persino film — quasi “a comando”. Ma ora emergono i contorni di una realtà molto più dura: la strada verso un cinema interamente supportato dall’IA è costellata di ostacoli tecnici, legali e creativi.

Non è che Runway abbia fallito per imperizia, ma piuttosto che l’impresa che si era prospettata è semplicemente sproporzionata per le capacità odierne dell’IA. Diversi report, incluso uno di The Wrap, ci dicono che nei dodici mesi successivi all’accordo sono emersi problemi strutturali legati alla natura stessa del progetto. Il fulcro della questione sembra essere questa: il catalogo di un singolo studio non basta per generare contenuti cinematografici di qualità in modo affidabile.

Lionsgate aveva promesso che, fornendo a Runway l’accesso completo ai suoi film e alle sue serie, si sarebbe potuto creare un modello esclusivo, riservato all’uso interno del studio. In teoria, un vantaggio competitivo. In pratica, secondo fonti vicine al progetto, l’insieme dei dati non ha fornito la densità e la varietà necessarie per formare un modello generativo robusto. “Il catalogo della Lionsgate è troppo piccolo per creare un modello,” ha affermato una fonte anonima. E non solo quello: a detta di chi ha osservato lo sviluppo, nemmeno una libreria vasta come quella della Disney sarebbe sufficiente per sostenere una produzione cinematografica basata su IA.

La limitatezza del dataset si rivela in difetti che vanno dall’incoerenza narrativa alle immagini sgranate, dai movimenti innaturali a errori nella continuità visiva. Anche modelli che usano dataset giganteschi — come quello di Google basato su venti anni di contenuti da YouTube — faticano a generare sequenze credibili con animazioni umane coerenti.

A complicare il quadro, c’è il nodo legale dei diritti d’autore e delle “loci” creative. Chi detiene il diritto su una scena generata dall’IA? Gli attori? Gli sceneggiatori? I registi? In che misura il modello che riproduce, imita o altera contenuti esistenti può essere considerato “opera derivata”, e chi deve essere compensato? Queste questioni non sono solo astratte: sono ostacoli pratici, che ogni accordo deve considerare, pena contenziosi.

C’è chi sostiene che non si tratta di un “fallimento”, ma di una lezione. Studios stanno apprendendo che l’IA oggi può essere una lente che potenzia aspetti del processo creativo — animazioni, effetti visivi, correzioni, generazione di concept — ma non un regista onnipotente. Come ha osservato un esperto, non basta un solo modello: l’industria ha bisogno di un ecosistema integrato di modelli specializzati, ciascuno abile in un aspetto (facce realistiche, movimenti, background, luce, continuità).

Nonostante le difficoltà, Lionsgate mantiene che investirà sull’IA su più fronti e che l’accordo con Runway non è esclusivo: lo studio afferma di voler integrare strumenti IA in pre-produzione, post-produzione e licensing, pur mantenendo il controllo creativo.

Di Fantasy