Nel contesto in continua evoluzione dell’intelligenza artificiale, la ricerca di hardware in grado di soddisfare le crescenti esigenze computazionali è in costante evoluzione. Un passo avanti significativo in questa direzione è stato compiuto grazie a uno sforzo di collaborazione guidato dalla Purdue University, in partnership con l’Università della California a San Diego (UCSD) e l’École Supérieure de Physique et de Chimie Industrielles (ESPCI) di Parigi. Questa collaborazione rappresenta un progresso fondamentale nel campo del calcolo neuromorfico, un approccio innovativo che mira a emulare i meccanismi del cervello umano all’interno dell’architettura informatica.
Con l’avanzamento rapido dell’intelligenza artificiale, sono stati introdotti algoritmi e modelli sempre più complessi che richiedono un livello di potenza computazionale senza precedenti. Tuttavia, mentre ci immergiamo sempre più nell’universo dell’intelligenza artificiale, emergono sfide evidenti legate all’inadeguatezza delle attuali architetture informatiche basate sul silicio nel soddisfare le mutevoli esigenze della tecnologia AI.
La Professoressa Erica Carlson, docente di fisica e astronomia in occasione del 150° anniversario della Purdue University, offre una breve riflessione su questa sfida, spiegando: “Gli algoritmi ispirati al cervello nell’ambito della rivoluzione dell’intelligenza artificiale vengono principalmente eseguiti su architetture di computer convenzionali in silicio che non sono state progettate con questo scopo.” Questa constatazione mette in evidenza una discrepanza fondamentale tra l’hardware esistente, principalmente destinato all’informatica generica, e le esigenze specializzate degli algoritmi avanzati di intelligenza artificiale.
Questa discrepanza, come sottolineato dalla Prof.ssa Carlson, non solo limita le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale, ma comporta anche notevoli inefficienze dal punto di vista energetico. I chip in silicio, che hanno sostenuto l’era digitale, sono intrinsecamente inadatti all’elaborazione parallela e interconnessa richiesta dalle reti neurali e dai modelli di deep learning. La capacità di elaborazione lineare e sequenziale delle tradizionali CPU (Central Processing Unit) e GPU (Graphics Processing Unit) contrasta nettamente con le esigenze dei calcoli avanzati dell’intelligenza artificiale.
L’impegno nella ricerca condivisa ha portato a una svolta significativa, come documentato nel loro studio “Spatially Distributed Ramp Reversal Memory in VO2”. Questa ricerca introduce un nuovo approccio all’hardware informatico, ispirato alle operazioni sinaptiche del cervello umano.
Al centro di questa svolta c’è il concetto di calcolo neuromorfico. A differenza delle architetture informatiche tradizionali, il calcolo neuromorfico cerca di emulare la struttura e la funzionalità del cervello umano, concentrandosi principalmente sui neuroni e sulle sinapsi. I neuroni sono le unità cellulari responsabili della trasmissione delle informazioni nel cervello, mentre le sinapsi sono le connessioni che consentono ai segnali di passare da un neurone all’altro. Nell’ambito del cervello biologico, queste sinapsi rivestono un ruolo cruciale nella codifica della memoria.
L’innovazione chiave introdotta dal team di ricerca risiede nell’utilizzo di ossidi di vanadio, materiali particolarmente adatti per creare neuroni e sinapsi artificiali. Questa scelta di materiale rappresenta una significativa deviazione dagli approcci convenzionali basati sul silicio, incarnando l’essenza stessa dell’architettura neuromorfica: replicare il comportamento simile al cervello all’interno dei chip informatici.
Le implicazioni di questa svolta sono estremamente ampie, soprattutto per quanto riguarda l’efficienza energetica e le capacità di calcolo. La Prof.ssa Carlson sottolinea i potenziali vantaggi, affermando: “Le architetture neuromorfiche promettono processori a basso consumo energetico, calcolo avanzato, modalità computazionali fondamentalmente diverse, apprendimento nativo e miglioramento del riconoscimento dei modelli”. Questa transizione verso l’informatica neuromorfica potrebbe ridefinire il panorama dell’hardware AI, rendendolo più sostenibile ed efficiente.
Uno dei vantaggi più convincenti del calcolo neuromorfico è la sua promessa di ridurre significativamente i costi energetici associati all’addestramento di modelli linguistici di grandi dimensioni, come ChatGPT. L’attuale elevato consumo energetico di tali modelli è in gran parte attribuibile alla discrepanza tra hardware e software, un divario che il calcolo neuromorfico mira a colmare. Emulando i componenti di base di un cervello, queste architetture forniscono ai sistemi di intelligenza artificiale un modo più naturale ed efficiente per elaborare e apprendere dai dati.
Inoltre, la Prof.ssa Carlson evidenzia le limitazioni del silicio nel replicare il comportamento simile ai neuroni, un aspetto cruciale per il progresso dell’hardware AI. Le architetture neuromorfiche, grazie alla loro capacità di emulare sia le sinapsi che i neuroni, stanno per rivoluzionare il modo in cui operano i sistemi di intelligenza artificiale, avvicinandoli a un modello più simile ai processi cognitivi umani.
Un aspetto fondamentale di questa ricerca è l’utilizzo innovativo degli ossidi di vanadio. Questo materiale si è dimostrato molto promettente nella simulazione delle funzioni dei neuroni e delle sinapsi del cervello umano. Alexandre Zimmers, uno dei principali scienziati sperimentali dell’Università della Sorbona e dell’ESPCI, sottolinea la portata di questa svolta affermando: “Nel biossido di vanadio, abbiamo osservato come si comporta come una sinapsi artificiale, rappresentando un notevole avanzamento nella nostra comprensione”.
La ricerca condotta dal team ha aperto la strada a un modo più semplice ed efficiente di memorizzazione, simile a quanto avviene nel cervello umano. Osservando il comportamento dell’ossido di vanadio in diverse condizioni, i ricercatori hanno scoperto che la memoria non è concentrata solo in parti isolate del materiale, ma è diffusa in tutto il suo corpo. Questa scoperta è cruciale poiché suggerisce nuove modalità per progettare e costruire dispositivi neuromorfici, in grado di elaborare le informazioni in modo più efficace ed efficiente, simile al cervello umano.
Basandosi su queste scoperte rivoluzionarie, il gruppo di ricerca sta già delineando la prossima fase del loro lavoro. Sfruttando la capacità consolidata di osservare i cambiamenti all’interno del materiale neuromorfico, intendono sperimentare ulteriormente, modificando localmente le proprietà del materiale stesso. Zimmers spiega il potenziale di questo approccio: “Questo potrebbe consentirci di guidare la corrente elettrica attraverso regioni specifiche del campione in cui l’effetto memoria è massimo, migliorando notevolmente il comportamento sinaptico di questo materiale neuromorfico”.
Questa direzione apre interessanti possibilità per il futuro del calcolo neuromorfico. Perfezionando il controllo e la manipolazione di questi materiali, i ricercatori mirano a creare dispositivi neuromorfici più efficienti ed efficaci. Tali progressi potrebbero portare a un hardware in grado di emulare più da vicino le complessità del cervello umano, aprendo la strada a sistemi di intelligenza artificiale più sofisticati ed efficienti dal punto di vista energetico.