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Nel mondo digitale odierno, dove strumenti come ChatGPT, Perplexity e Claude rispondono a domande complesse senza rimandare l’utente a una semplice lista di link, le aziende rischiano di diventare invisibili se continuano a ottimizzare i propri contenuti secondo le logiche del 2019. Mentre molte squadre di marketing perseverano nell’implementare tattiche di posizionamento tradizionale per Google, il volume di ricerche su motori AI è destinato a crescere e, secondo alcune previsioni, il traffico generato dalle modalità di ricerca classica potrebbe calare del 25% entro il 2026. Questo cambiamento, tanto repentino quanto inesorabile, pone la necessità di ripensare radicalmente le strategie di content creation per non perdere contatto con un’audience che chiede risposte istantanee e sintetiche.

La Generative Engine Optimization (GEO) si presenta come la naturale evoluzione della SEO: non più semplici tecniche per scalare le SERP di Google, ma un approccio mirato a diventare “la risposta” proposta dagli assistenti AI. In pratica, mentre la SEO tradizionale suggerisce dieci possibili pagine da cliccare, la GEO intende farsi spazio come fonte diretta e autorevole, fornendo risposte concise e contestualizzate all’interno dei primi paragrafi del contenuto. È un passaggio importante: non si tratta di ingannare un algoritmo con keyword stuffing o checklist standardizzate, ma di fornire chiarezza e specificità in un formato che le AI possano comprendere e citare senza esitazioni.

Alla base di questa transizione c’è un quadro operativo che privilegia l’immediatezza: frontloadare l’informazione utile nei primi 40–50 parole, strutturare i testi in paragrafi brevi e dotati di titoli interrogativi, e utilizzare elenchi puntati o numerati per facilitare l’estrazione automatica dei dati. L’obiettivo è duplice: far sì che l’utente umano trovi rapidamente ciò che cerca e, al contempo, offrire alle AI un “pattern” di lettura che ne agevoli l’analisi semantica. Scegliere un linguaggio naturale, simile alle domande che le persone realmente pongono, è un altro tassello fondamentale: le AI interpretano meglio frasi come “Quali caratteristiche cercare in un software di project management?” rispetto a semplici accostamenti di parole chiave.

Dal punto di vista tecnico, non servono competenze di sviluppo particolarmente avanzate: l’implementazione di schema markup (FAQ, HowTo, Article) consente di “etichettare” i contenuti in modo che i motori AI riconoscano immediatamente la loro funzione, mentre una coerenza terminologica rafforza il riconoscimento delle entità (brand, prodotti, concetti chiave) da parte dei sistemi di intelligenza artificiale. Infine, mantenere i contenuti aggiornati con dati, esempi e approfondimenti freschi è altrettanto cruciale: un articolo di due anni fa, per quanto ben strutturato, rischia di essere confinato in un angolo della knowledge base di Perplexity o ChatGPT se non mostra segni di “vita” recente.

In termini strategici, questa rivoluzione semplifica paradossalmente l’approccio dei content strategist: ogni pezzo deve rispondere a una domanda specifica nel modo più chiaro e diretto possibile, senza rinunciare alla profondità di un’analisi che soddisfi l’utente umano. Smart companies stanno già rivalutando i loro migliori articoli: un audit mirato verifica se il quesito principale viene affrontato fin dalle prime righe, se la struttura agevola la lettura sia dal punto di vista umano che dalle AI, e se le tecnologie di markup e verifica con strumenti AI (come testare il proprio testo in ChatGPT) sono state adottate. Chi saprà cogliere questo vantaggio comparativo oggi, diventando fonte primaria per le AI di domani, deterrà una posizione di leadership nell’universo delle ricerche digitali.

Di Fantasy