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Il vibe coding ha guadagnato popolarità proprio per la sua promessa seducente: chiedere a un modello AI di “fare un’app” o “scrivimi il backend” e veder uscire — in pochi minuti — qualcosa che funziona. Ma dietro questa velocità si nasconde un problema grosso: codice fragile, scarsamente documentato, difficile da mantenere e pieno di debito tecnico.

Ecco allora che Codev si propone come alternativa strutturata a questo modello “fast & furious” dello sviluppo. Fondata con l’idea di trattare il linguaggio naturale non come semplice “input” al modello, ma come parte integrante del codice stesso, Codev introduce strumenti e metodologie per trasformare la conversazione in sorgente, la documentazione in codice, e l’agente IA non come assistente estemporaneo ma come componente disciplinata del processo di sviluppo.

L’approccio funziona tramite un protocollo chiamato SP(IDE)R, che è il sotto-motore metodologico di Codev. In pratica, il ciclo prevede fasi distinte ma integrate: Specify (dove la richiesta ad alto livello viene tradotta in criteri di accettazione), Plan (dove l’agente propone la roadmap di implementazione), Implement/Defend/Evaluate (nell’IDE vero e proprio l’agente scrive codice, testa, corregge, verifica contro la specifica) e Review (dove gli esiti dell’implementazione vengono documentati e la metodologia stessa affinata). Questo significa che la “conversazione” con l’IA — spesso trattata come qualcosa di effimero — diventa invece a tutti gli effetti parte del repository, della storia del progetto, della base per il mestiere dell’ingegneria.

Un elemento distintivo è l’uso multiplo di agenti IA specializzati e l’intervento umano sistematico: in un prototipo raccontato, ad esempio, l’uso di un modello per catturare vulnerabilità di sicurezza (come un agente specializzato in XSS) e di un altro modello per semplificare design o architettura (l’articolo cita GPT-5 come agente su queste funzioni) è integrato in un flusso di sviluppo dove un senior engineer supervisiona e dà l’ultima approvazione. Questo crea una combinazione tra automazione e disciplina che molte imprese richiedono, ma faticano a realizzare quando spingono troppo sulla generazione rapida senza controllo.

I vantaggi, nel racconto della startup, sono significativi: in un test comparativo, lo stesso prompt generativo usato per un’app “to­do manager” ha prodotto risultati completamente diversi se condotto con un approccio “vibe coding” tradizionale o con Codev/SP(IDE)R. Nell’approccio tradizionale si è ottenuto un prototipo plausibile ma che “0% della funzionalità richiesta era implementata” e mancavano test, database, API. Nell’approccio strutturato di Codev, invece, è uscita un’app production-ready: 32 file sorgente, 100% della funzionalità specificata, database SQLite, API RESTful, test suite. Gli autori raccontano che “non ho toccato una riga di codice” pur essendo “circa tre volte più produttivo”.

Naturalmente, tutto questo richiede un cambio di mentalità: lo sviluppatore non è più semplicemente “chi digita le righe di codice”, ma diventa l’architetto del processo, il controllore dei criteri, il supervisore degli agenti IA. Come dichiara il co-fondatore Waleed Kadous, “le persone che andranno meglio saranno ingegneri senior e oltre, perché conoscono i rischi… il framework li rende molto più produttivi”. Ciò significa che per le imprese adottare Codev non è soltanto “mettere un agente IA in più”, ma trasformare la cultura della scrittura del software, l’organizzazione del team, e la governance del codice generato.

Da un punto di vista operativo, l’impegno iniziale si sposta sul “specificare bene” e “pianificare bene”: le fasi di Specify e Plan richiedono tra 45 minuti e 2 ore di focus collaborativo, molto più del tipico prompt rapido di qualche minuto usato nei tool generativi tradizionali. Ma questa investment-azione in avvio assicura che ciò che segue non sia solo “codice che funziona” ma “codice che può essere mantenuto, controllato, evoluto”.

Codev promette di chiudere la distanza tra prototipo e produzione, tra “fast coding” e ingegneria robusta. Molte aziende sono cadute nella trappola del generative coding veloce: ottengono qualcosa che “funziona” ma che dietro nasconde un bagaglio di debito tecnico, casi di sicurezza non verificati, codice poco documentato e non scalabile. Codev mira esattamente a evitare quella “hangover del coding” che si paga nei mesi successivi. E in un momento in cui l’adozione dell’IA è spinta al massimo dalle organizzazioni, la differenza tra “fare generazione di codice con IA” e “costruire software industriale con IA” potrebbe essere decisiva.

Di Fantasy