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C’è un momento, nella maturazione di una tecnologia, in cui la promessa smette di essere un’ipotesi e diventa mestiere quotidiano. Nel customer service quel momento coincide con l’arrivo di agenti autonomi capaci non solo di rispondere, ma di agire e di farlo con una costanza che ricorda i turni di chi, in un contact center, ha imparato a tenere insieme cortesia, processi e risultati. Zendesk racconta questo passaggio come un “doppio salto”: consolidare l’affidabilità degli agenti generativi e, insieme, aprire la piattaforma a un’intelligenza in tempo reale che legga i segnali delle conversazioni, li organizzi e li trasformi in decisioni operative per tutta l’azienda. È un’evoluzione che nasce dall’integrazione di modelli di nuova generazione e dall’acquisizione di un motore analitico nativo-IA pensato per andare oltre le tabelle e addentrarsi lì dove i dati, in forma di parole, si accumulano in modo caotico ma prezioso.

Il primo tassello è la fiducia. In assistenza clienti ogni passo avanti dell’IA, sostiene il presidente per engineering, AI e product Shashi Upadhyay, deve tradursi in un servizio più affidabile per chi scrive o chiama e per l’operatore umano che prende in carico i casi più delicati. Non è un tema astratto: Zendesk afferma di vedere agenti in grado di risolvere in autonomia quasi l’80% delle richieste in arrivo, con il restante 20% che scivola verso un passaggio di mano intelligente, quando la complessità lo richiede. In questo modo si abbattono tempi d’attesa, si riducono le code, e paradossalmente anche la soddisfazione del cliente sale, perché la rapidità non è più sinonimo di superficialità ma di pertinenza immediata. Sono percentuali che fotografano un’adozione ormai trasversale, ben oltre le prime sperimentazioni.

Dentro questa fiducia operativa, Zendesk ha inserito una routine di collaudi continui: ogni agente e ogni modello viene provato prima e dopo il rilascio su cinque dimensioni – tasso di automazione, esecuzione, precisione, latenza e sicurezza – come se fossero le assi su cui si misura la postura dell’intero sistema. A fare da cintura di sicurezza c’è un agente di QA che vigila sulle conversazioni in tempo reale; se il tono devia o l’accuratezza vacilla, scatta l’allerta e un umano interviene. L’obiettivo non è rendere l’IA semplicemente più veloce, ma più responsabile e allineata a brand, policy e vincoli regolatori dell’azienda che la impiega. È questa cura di “artigianato industriale” a rendere credibile l’autonomia.

Il secondo tassello, quello che spinge il salto in avanti, è l’adozione di un modello come GPT-5 all’interno della Resolution Platform. Qui la differenza non è soltanto quantitativa. Un agente capace di ragionare e agire può riconoscere l’intento di un reso, verificare l’idoneità, avviare la procedura e chiudere con il rimborso, mantenendo il contesto anche quando le condizioni si complicano. È in questa zona che Zendesk colloca i guadagni più visibili: minori fallimenti di workflow, meno escalation inutili, più interventi completi al primo colpo. L’azienda parla di un taglio dei fallimenti del 30%, oltre il 20% in meno di passaggi verso il fallback umano, una migliore gestione dell’ambiguità e una comprensione dell’intento più solida, con affidabilità d’esecuzione superiore al 95% e benefici tangibili anche sullo strumento App Builder, dove il ciclo iterativo risulta sensibilmente più rapido. In più, l’accuratezza si estende su più lingue e l’allineamento di tono riduce frizioni e incomprensioni.

Ma il cuore del “salto doppio” sta nella seconda metà dell’equazione: l’intelligenza in tempo reale che supera l’ossessione per il dato strutturato e va a pescare valore nelle conversazioni stesse. Per riuscirci, Zendesk ha innestato nella propria suite l’intelligenza di HyperArc, piattaforma nativa-IA nota per il motore HyperGraph e per insight generativi che partono da una memoria persistente delle interazioni. L’effetto è un’evoluzione di Explore, l’analytics di casa Zendesk, verso uno strumento capace di interrogare insieme dati strutturati e non strutturati, di usare interfacce conversazionali e di collegare ciò che i clienti dicono oggi con ciò che è già accaduto in passato, senza perdere il filo. È qui che l’assistenza smette di essere una funzione “a valle” e inizia a informare prodotto, operation, marketing: le richieste accumulate negli anni diventano un sismografo accurato di ciò che non va e un radar di ciò che potrebbe andare storto domani.

Immaginare il Black Friday aiuta a capire. Nel pieno di un picco, quando la pressione manda in crisi i colli di bottiglia, un’analisi che incrocia la storia dei ticket, i pattern ricorrenti e i segnali emergenti può suggerire contromisure prima che il problema esploda. Se il reso di una certa categoria di prodotti genera più attriti in una specifica regione, l’intelligenza suggerisce interventi mirati; se una formula di sconto innesca richieste di chiarimento sempre uguali, si raddrizza la comunicazione; se una modifica di inventario crea ritardi in filiera, si adegua il routing. È una trasformazione culturale oltre che tecnica: dal reattivo al proattivo, con l’assistenza che diventa laboratorio di miglioramento continuo e non solo sportello d’emergenza.

In controluce, si vede un disegno coerente. Da un lato agenti addestrati, misurati e monitorati come professionisti, equipaggiati con modelli capaci di sostenere la complessità del mondo reale. Dall’altro, un layer analitico in grado di dare senso all’enorme patrimonio di linguaggio naturale che ogni azienda accumula senza sfruttarlo a dovere. In mezzo, la promessa di una customer experience più prevedibile, meno frammentata, in cui la velocità non costa qualità e la qualità non sacrifica l’efficienza. È un racconto che, va detto, nasce in un contesto sponsorizzato, ma proprio per questo esplicita bene l’ambizione di chi sviluppa strumenti per chi sta in prima linea: fare dell’IA non un gadget, bensì un’infrastruttura di servizio e di conoscenza.

Di Fantasy