A Gubbio, storica cittadina umbra famosa per la sua architettura medievale e per le feste tradizionali, è scoppiata una piccola ma significativa polemica nel periodo natalizio attorno all’uso dell’intelligenza artificiale e alla rappresentazione visiva della città sui social media. Negli ultimi giorni, infatti, un’immagine circolata online — resa evidente, secondo molti osservatori, come generata artificialmente da un algoritmo di IA — ha suscitato l’attenzione e la reazione di numerosi cittadini, che hanno espresso sconcerto e disapprovazione, affermando che “nostra città non è così” e denunciando la percezione di una rappresentazione non fedele del loro territorio.
Questa situazione nasce in un momento in cui l’intelligenza artificiale è sempre più utilizzata per creare contenuti visivi e narrativi, spesso con l’obiettivo di attrarre like e condivisioni. Gli strumenti di generazione di immagini permettono ormai a chiunque di creare rappresentazioni fotorealistiche o artistiche di luoghi, persone o eventi che non esistono realmente o che non corrispondono all’aspetto autentico di un luogo. Nel caso di Gubbio, l’elemento scatenante è stata proprio una di queste immagini: un ritratto della città apparentemente “stravolta”, diffuso da una pagina social con un vasto seguito, che ha portato molte persone a reagire con sorpresa e dissenso davanti a una visione che per loro non rispecchiava la realtà urbana e culturale che conoscono e vivono quotidianamente.
La reazione degli eugubini non è frutto di un rifiuto della tecnologia in sé, quanto piuttosto di una difesa della propria identità e del proprio patrimonio visivo. Gubbio non è soltanto uno spazio geografico, ma un luogo ricco di storia, cultura e memoria collettiva, dove ogni vicolo, piazza e monumento ha un significato per chi ci è nato o ci vive da tempo. La circolazione di immagini alterate dall’intelligenza artificiale ha toccato una sensibilità diffusa, perché molti hanno percepito che tali rappresentazioni rischiano di deformare, seppur inconsapevolmente, la percezione condivisa della città, trasformando un patrimonio reale in un’immagine artificiale che non riflette fedelmente la sua identità.
Questa discussione si inserisce in un dibattito più ampio che sta emergendo non solo in Italia, ma in molte comunità in tutto il mondo, sull’uso responsabile dell’intelligenza artificiale nella produzione di contenuti destinati al pubblico. Quando le immagini vengono create o modificate senza un chiaro contesto o una didascalia che spieghi la loro natura artificiale, si rischia di confondere o ingannare chi le guarda, soprattutto quando si tratta di raffigurare realtà riconosciute e quotidiane come quelle di una città. A Gubbio, la reazione dei cittadini riflette proprio questa preoccupazione: non tanto un rifiuto della tecnologia, quanto la richiesta che essa venga usata con trasparenza e rispetto per la realtà locale.
Nonostante l’episodio possa apparire marginale, esso solleva questioni importanti su come differenti comunità percepiscono e accolgono le tecnologie digitali avanzate. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale è sempre più integrata nei processi di creazione dei media, dalle immagini alle notizie, la linea tra realtà e artificiale può facilmente sfumare, portando a fraintendimenti o a reazioni emotive come quella osservata nella piccola città umbra. Gli eugubini che si sono espressi sulle pagine social hanno ricordato con forza che la loro città ha una storia millenaria, una fisionomia ben definita e un significato profondamente radicato nelle esperienze quotidiane di chi la vive: elementi che, per loro, non possono essere approssimati o alterati da un’immagine generata da un algoritmo.
Al di là della reazione locale, l’accaduto invita a una riflessione più ampia su come regolamentare e contestualizzare l’uso dell’intelligenza artificiale nelle rappresentazioni visive, soprattutto quando queste riguardano luoghi e comunità reali. La tecnologia può offrire strumenti straordinari per raccontare, reinterpretare e persino valorizzare un patrimonio culturale, ma senza un’etichettatura chiara e un contesto interpretativo, rischia di generare confusione, disinformazione o — come nel caso di Gubbio — un sentimento di disconnessione tra l’immagine proposta e l’esperienza vissuta dai cittadini.
