C’è un modo per capire se un’intelligenza artificiale non sta solo parlando bene, ma sa davvero agire? Non basta che riconosca comandi o parli come un umano: deve saper usare strumenti, collegarli, pianificare, correggere. Si chiama MCP‑Bench ed è la risposta di Accenture—un benchmark che mette alla prova modelli AI su scenari reali e articolati, spingendoli molto oltre la mera chiamata a un’API.
Presentato il 29 agosto da Accenture, MCP‑Bench (Model Context Protocol Benchmark) rappresenta un passo avanti fondamentale. Non si tratta più di test artificiali, con flussi già orchestrati e istruzioni limpide. Questa piattaforma si connette a ben 28 server MCP attivi che offrono oltre 250 strumenti reali—campi come finanza, viaggi, ricerca scientifica, universitaria e calcolo—e chiede ai modelli di destreggiarsi in compiti reali, ambigui, a più fasi.
L’agente AI deve:
- scegliere lo strumento giusto, spesso da istruzioni criptiche o vaghe;
- ideare un piano a più step per risolvere obiettivi complessi;
- interpretare i risultati intermedi e usarli nel passaggio successivo;
- collaborare tra diversi domini, passando flessibilmente da uno strumento all’altro.
Molti modelli linguistici si comportano bene nei benchmark tradizionali. Ma MCP‑Bench li mette alla prova in modo più severo: quando l’attività richiede una sequenza coordinata di tool, molti falliscono. Anche se sanno invocare correttamente un tool singolo o passare i parametri in modo preciso, spesso inciampano nella pianificazione a lungo termine e nell’orchestrazione complessa tra strumenti.
Rispetto ai benchmark esistenti, che spesso si limitano a chiamate isolate o a catene fatte su misura, MCP‑Bench richiede pensiero in contesti reali, dove l’AI deve adattarsi, decidere, correggere. Questo apre la strada a una generazione di agenti più robusti e affidabili, in grado di essere davvero utili nell’ambito pratico.