Immagina un’autostrada invisibile di dati vocali e testuali che scorre tra il tuo smartphone e la nube. Ad alimentarla, tecnologie sofisticate nate dal lavoro di anni di ricerca. Ora immagina che una delle menti dietro questa innovazione, Cerence AI, decida di imbracciare lo scudo dei tribunali per difendere la propria creazione. Questa è la storia di una battaglia legale che coinvolge due giganti dell’AI, con un cast che comprende veicoli intelligenti, assistenti vocali e, naturalmente… Siri.
È il 4 settembre 2025 quando Cerence Inc., nota per le soluzioni di AI conversazionale integrate in oltre 525 milioni di auto in tutto il mondo, annuncia ufficialmente di aver presentato una causa per violazione di brevetto contro Apple. Luogo della disputa? Il tribunale federale del Western District of Texas, spesso scelto per casi di brevetti strategici.
Secondo Cerence, diverse tecnologie impiegate da Apple — in particolar modo quelle legate all’inserimento di testo, al riconoscimento del testo e al monitoraggio dei comandi vocali — sarebbero state adottate senza alcuna licenza. L’azienda sottolinea che il proprio patrimonio brevettuale è frutto di decenni di ricerca e sviluppo, e che questi brevetti costituiscono il cuore delle sue soluzioni per costruttori automobilistici, marchi di consumo e altre aziende tecnologiche.
Cerence lamenta di aver già cercato un dialogo con Apple: dall’estate 2021 aveva condiviso claim chart e brevetti con lo scopo di trovare un accordo, magari persino di tipo acquisitivo. Ma la conversazione non ha avuto seguito, e così Cerence ha sentito la necessità di agire legalmente.
Jennifer Salinas, Chief Administrative Officer e General Counsel di Cerence, ha dichiarato con nettezza che l’azienda intende proteggere i propri diritti di proprietà intellettuale, salvaguardando così gli investimenti in R&D e la propria leadership tecnologica.
Non si tratta certo di una prima per Apple, abituata a navigare acque tempestose di controversie brevettuali. Tuttavia, nei casi passati gli avversari sono spesso stati più trasparenti: specificavano quali brevetti venivano violati, quali prodotti coinvolgevano e chiedevano compensi economici. In questo caso, invece, Cerence è rimasta vaga, senza rivelare i brevetti precisi o i prodotti Apple impattati — aprendo così scenari di speculazione e attesa.
La scelta del Western District of Texas non è casuale: è una cornice giudiziaria percepita come “amica” degli attori che intentano cause brevettuali. Questo potrebbe dar a Cerence una posizione giudiziaria più solida.
Eppure, senza dettagli concreti, la validità di questa causa resta incerta. Come osservato da analisti e media, la vaghezza rende difficile stabilire se le pretese di Cerence siano solide o se rischino di essere considerate un tentativo di ricatto legale — un “patent trolling” senza basi chiare.
Per Apple, una risposta è inevitabile: molto probabilmente seguiranno mozioni, difese aggressive e magari contenziosi incrociati. Per Cerence, esercitare i propri diritti — soprattutto in una disputa con un colosso come Apple — può significare difendere il futuro dei propri prodotti e partner. Se l’azienda avrà ragione, potrebbe ottenere licenze o risarcimenti che ricompensano anni di innovazione. Ma se perderà, il rischio per la credibilità e le risorse potrebbe essere significativo.
La battaglia legale tra Cerence e Apple traccia una linea sottile tra innovazione e sfruttamento. Da una parte, un’azienda che rivendica la protezione della propria eredità tecnologica. Dall’altra, un gigante che potrebbe aver adottato — legalmente o meno — quelle stesse innovazioni per alimentare Siri, i suoi sistemi di scrittura predittiva o CarPlay.
Più che una semplice causa, è uno scontro ideologico sull’intelligenza artificiale: chi costruisce, chi eredita, chi paga. E per i prossimi mesi, tutti osserveranno con attenzione i documenti, le mosse legali e i silenzi successivi che l’unico dialogo che rimane tra innovazione e diritto.