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Negli ultimi anni la generazione di codice tramite agenti di intelligenza artificiale è cresciuta in modo esponenziale all’interno delle aziende: sempre più team si affidano a strumenti automatici che scrivono porzioni di codice per velocizzare lo sviluppo. Eppure, nonostante le potenzialità, un ostacolo concreto persiste: quando quel codice “entra in produzione”, ovvero viene effettivamente eseguito in ambienti reali, le tradizionali piattaforme di monitoraggio spesso non riescono a fornire informazioni sufficienti sul suo comportamento. Di fatto, l’osservabilità a livello di servizio — cioè monitorare se un’applicazione va giù o se le risposte sono lente — non basta più: gli agenti AI e gli sviluppatori hanno bisogno di capire funzione per funzione cosa sta succedendo nel vivo del codice, ma le soluzioni APM classiche risultano troppo generiche, costose e spesso configurate con “sampling” troppo basso, cioè monitorando solo una piccola parte di esecuzioni.

Proprio per risolvere questa lacuna, la startup Hud ha presentato un concetto nuovo: un “runtime code sensor” — un sensore che gira assieme al codice in produzione e tiene traccia di come ogni funzione all’interno del software viene eseguita, offrendo dati real-time e a grana finissima. Questo sensore si integra con una sola riga di codice, e nella normale operatività invia dati leggeri; ma quando qualcosa va storto — un errore, un rallentamento, un comportamento anomalo — raccoglie automaticamente dati forensi molto dettagliati: parametri HTTP, query al database (e risposte), contesto di esecuzione completo. In pratica, fornisce quel “corpo dell’evidenza” che tradizionali tool di monitoraggio difficilmente riescono a ottenere.

Il bisogno nasce soprattutto in contesti complessi, tipici di grandi software enterprise o sistemi distribuiti che integrano molti servizi esterni: in questi ambienti, quando scatta un alert per latenza o errore, capire dov’è il problema spesso significa perdere ore, o anche giorni, in analisi manuale: log, timestamp, correlazioni, macchine diverse, dipendenze sconosciute. L’approccio tradizionale finisce per generare quella che gli ingegneri di Drata definiscono “tax on investigation”: una tassa in termini di tempo e talento, perché spesso serve un senior developer per districarsi tra log e servizi.

Con Hud non solo questa dinamica cambia: letteralmente si stravolge. Lo strumento mette a disposizione, non solo ai developer, ma anche agli stessi agenti AI, la visibilità sul runtime: non servono più “ipotesi” su cosa potrebbe essere andato storto. Quando un endpoint rallenta, il sensore fornisce dati e l’agente (oppure lo sviluppatore) può chiedere direttamente: “Perché questo endpoint è lento?” — e ricevere una risposta con dati concreti, funzione per funzione, indicando che ad esempio quella particolare funzione ha rallentato del 30% rispetto all’ultimo deploy, o che una query al database è diventata inaspettatamente pesante.

Il risultato pratico è impressionante: in un caso reale, Drata è riuscita a tagliare i tempi di triage manuale da circa 3 ore al giorno a meno di 10 minuti. Allo stesso tempo, il tempo medio per risolvere un problema (time to resolution) è migliorato del 70%. Grazie a questo meccanismo, molti dei cosiddetti “voodoo incidents” — errori improvvisi e difficili da riprodurre, magari con un picco di CPU, ritardi, errori sporadici —, che una volta richiedevano dumping di memoria, analisi e strumenti ad hoc, ora possono essere diagnosticati e risolti in pochi minuti.

Questa tecnologia si posiziona in modo distinto rispetto a ciò che offrono gli strumenti di performance monitoring tradizionali (APM) o i monitor di errori come quelli in grado di catturare solo eccezioni: quei sistemi sono pensati per guardare a un livello alto — servizio, endpoint, un errore generico — ma non riescono a fornire contesto di esecuzione a livello di funzione, né dati strutturati che un agente AI possa usare per generare automaticamente fix affidabili. Nel contesto moderno di “sviluppo accelerato da AI”, questo genere di visibilità è invece fondamentale: perché un agente possa scrivere o correggere codice in modo sicuro deve vedere come quel codice si comporta davvero in produzione, non solo in teoria.

Per le imprese che oggi già fanno uso di assistenti di codifica automatici, come Cursor o GitHub Copilot, adottare un runtime sensor come Hud può rappresentare un vero passaggio cruciale verso lo “scala stabile”: non più esperimenti o progetti pilota, ma un vero flusso di lavoro in produzione con codice generato da AI e al contempo sicuro, affidabile e manutenibile. In sostanza, una garanzia che il salto produttivo non si trasformi in un salto nel buio.

Alla luce di queste considerazioni, sembra sempre più chiaro che con l’avvento di strumenti come Hud l’osservabilità e la manutenzione del software stiano entrando in una nuova epoca. Un’epoca in cui “vedere cosa succede davvero dentro il codice” non è più un optional, ma una necessità, soprattutto quando a scrivere quel codice possono essere — almeno in parte — agenti intelligenti. Per chi sviluppa in ambienti complessi, per chi vuole scalare con AI evitando caos, e per chi vuole garantire stabilità e qualità nel lungo termine: il runtime sensor — e con esso una nuova generazione di strumenti di osservabilità — potrebbe non essere solo un plus, ma un vero elemento strutturale su cui costruire il futuro del software.

Di Fantasy