E’ una delle questioni più complesse e affascinanti dell’era digitale: l’intelligenza artificiale non come semplice strumento tecnologico, ma come fenomeno profondamente politico, capace di plasmare il discorso pubblico e di ridefinire il modo in cui le comunità collezionano, interpretano e condividono conoscenza. La riflessione parte dal progetto MeMa, acronimo di Memoria Manifesta, un’intelligenza artificiale sviluppata per il giornale Il Manifesto che non si limita a generare contenuti, ma si situa come parte integrante di un archivio culturale e storico. Questo archivio del Manifesto, che si avvicina ormai al milione di articoli pubblicati dal 1971 a oggi, è stato trasformato in una base di conoscenza consultabile, dove ogni elemento – entità, relazione, contesto – diventa visibile, criticabile e potenzialmente ampliabile grazie all’uso dell’IA.
Nel cuore della riflessione c’è un concetto che va oltre la mera efficienza tecnologica: le scelte tecnologiche hanno valore politico. Un archivio non è soltanto una collezione di testi, ma un luogo in cui si esercita una forma di potere simbolico. Restituire il controllo di questa conoscenza alla comunità che l’ha prodotta significa sottrarre il sapere alla deriva proprietaria dei grandi colossi tecnologici e, al tempo stesso, rafforzare il ruolo di un giornalismo critico e indipendente. In questo senso, MeMa non è stata pensata come un prodotto dipendente dai modelli esosi e proprietari delle multinazionali d’oltreoceano; al contrario, si basa su modelli linguistici aperti, di dimensioni contenute e con consumi energetici ridotti, che rispecchiano una scelta consapevole di autonomia e di sostenibilità.
L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa ha provocato ondate di entusiasmo e timore. Questi sistemi, oggi integrati nei motori di ricerca e nei chatbot utilizzati da centinaia di milioni di persone, scuotono le società, le culture, le economie e persino le nostre coscienze. È un fenomeno che, secondo alcuni filosofi come Paolo Virno, può generare uno “sconcerto” collettivo, poiché gli automi apprendono e usano il linguaggio umano secondo logiche che non sempre rispecchiano i nostri valori e le nostre intenzioni. Tuttavia, MeMa nasce all’interno di questa complessità, non come risposta profetica o invettiva, ma attraverso l’impegno concreto di utilizzare la tecnologia per ampliare, anziché comprimere, lo spazio comune del discorso pubblico.
La peculiarità di MeMa risiede proprio in questo approccio: essa non è un’intelligenza artificiale pensata per sostituire la riflessione umana, ma per restituire centralità alla comunità di lettrici e lettori nel processo di produzione e interpretazione del sapere. Collegando articoli lontani nel tempo, mettendo in evidenza ricorrenze e costruendo passaggi che attraversano epoche diverse, MeMa agisce come un ponte tra passato e presente, permettendo di leggere l’attualità alla luce di ciò che è già stato scritto e dibattuto. In questo senso, il progetto si pone come una forma di “politica della memoria”, dove l’intelligenza artificiale diventa strumento di partecipazione collettiva e non semplice strumento di automazione.
Questa prospettiva politica dell’intelligenza artificiale emerge ancor più chiaramente se si considera il contesto più ampio delle tecnologie contemporanee: oggi molte IA sono progettate da pochi grandi operatori, con modelli proprietari che accumulano enormi quantità di dati e potere decisionale. Nel caso di MeMa, invece, la scelta di modelli aperti e di una comunità che può discutere e modificare ciò che l’intelligenza artificiale propone inaugura una forma di uso critico e condiviso della tecnologia, in cui la partecipazione attiva degli utenti diventa parte integrante del processo di conoscenza.
