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Nel dibattito che circonda l’intelligenza artificiale uno degli aspetti più discussi riguarda il suo impatto sul mondo del lavoro. In un recente articolo del Corriere della Sera, si riprende un’analisi pubblicata dal Wall Street Journal che prova a immaginare come l’AI non solo possa automatizzare compiti oggi svolti da persone, ma generare nuove professioni, figure inedite che nasceranno proprio per gestire e convivere con queste tecnologie. Questo esercizio di proiezione non è un semplice gioco intellettuale, ma una riflessione sulla trasformazione profonda del mercato del lavoro in corso: mentre alcuni posti di lavoro scompaiono sotto la spinta dell’automazione, altri ruoli emergono come risposte alle nuove esigenze create dall’AI, segno che la tecnologia, pur modificando la struttura occupazionale, può anche stimolare creatività e competenze nuove.

Secondo il pezzo citato, una delle prime figure professionali che potrebbe affermarsi è quella dell’esperto esplicatore. In un mondo in cui i sistemi di intelligenza artificiale producono risposte e decisioni complesse, spesso opache ai non addetti ai lavori, l’esplicatore avrebbe il compito di tradurre il “linguaggio” delle macchine in termini comprensibili per manager, regolatori e perfino per la giustizia. Si pensi, per esempio, a un incidente tra veicoli autonomi: chi potrà spiegare a giudici e giurie come si è comportato un algoritmo, se il software era aggiornato o se determinate scelte tecniche hanno influito sull’esito di un evento? In questa prospettiva, l’esplicatore diventa un ponte, una figura che media tra algoritmo e società, aiutando a interpretare e spiegare comportamenti che altrimenti rimarrebbero inaccessibili alla maggior parte delle persone.

La seconda professione che emerge dall’analisi è quella del selezionatore di AI, un ruolo che risponde a un’altra esigenza pratica: scegliere quale tecnologia di intelligenza artificiale adottare e come implementarla. La varietà di modelli e applicazioni disponibili è ormai enorme e può confondere anche gli esperti. Le aziende che intendono integrare sistemi di AI nei propri processi produttivi o decisionali si trovano di fronte a scelte strategiche complesse: affidarsi a soluzioni predittive basate su dati storici o puntare su modelli generativi capaci di produrre contenuti creativi? Il selezionatore di AI sarebbe chiamato a orientare queste decisioni, suggerire soluzioni adeguate ai problemi specifici e accompagnare l’azienda lungo tutto il processo di adozione tecnologica, dal momento della scelta fino all’installazione e alla messa in funzione.

La riflessione dell’articolo prosegue con l’idea che nascano figure dedicate alla revisione e alla pulizia dei sistemi di intelligenza artificiale. Anche i migliori algoritmi non sono immuni da problemi, come i pregiudizi impliciti nei dati d’addestramento o errori sistematici nei risultati. Il revisore di AI si occuperebbe di monitorare regolarmente il comportamento dei modelli, identificare eventuali distorsioni e analizzare criticamente le prestazioni rispetto agli obiettivi prefissati. Accanto a questa figura opererebbe il cosiddetto “pulitore”, un professionista specializzato nell’intervenire direttamente sui sistemi per correggere i problemi rilevati, aggiornare i dataset e impostare nuovi criteri di addestramento affinché l’algoritmo migliori la sua accuratezza e imparzialità. Questa coppia di ruoli sottolinea un aspetto essenziale della convivenza con l’intelligenza artificiale: non basta attivare un sistema e lasciarlo operare da solo, ma è necessario un controllo umano costante e specializzato che ne garantisca l’affidabilità e l’equità.

Infine, l’articolo menziona la figura del formatore dedicato all’intelligenza artificiale, un ruolo che riflette la necessità di accompagnare i lavoratori nell’acquisizione delle competenze richieste da questa trasformazione. Mentre nuovi strumenti e processi emergono, molti professionisti dovranno riqualificarsi o aggiornarsi per interagire efficacemente con le tecnologie basate sull’AI. Il formatore non si limita a insegnare nozioni generiche, ma utilizza l’intelligenza artificiale stessa per personalizzare i percorsi formativi, aiutando dipendenti a metà carriera o lavoratori di piccole imprese a sviluppare competenze specifiche in tempi rapidi e con strumenti innovativi. Questa figura rappresenta l’incrocio tra pedagogia e tecnologia, con l’obiettivo di facilitare la transizione dell’occupazione verso nuove modalità di lavoro.

Nel complesso, la discussione proposta dal Corriere della Sera, riprendendo il Wall Street Journal, non si limita a una previsione di posti di lavoro meccanicamente legati all’AI, ma invita a riflettere su come la tecnologia stia rimodellando i ruoli professionali e i compiti richiesti ai lavoratori. La trasformazione digitale provoca timori legittimi circa la perdita di occupazione tradizionale — in effetti, negli Stati Uniti nel 2025 si stima che migliaia di posti di lavoro siano già scomparsi a causa dell’automazione — ma la storia dell’innovazione mostra che dove una competenza viene automatizzata, si crea spesso spazio per nuove specializzazioni e mestieri inediti. In questo senso, l’intelligenza artificiale non soltanto cambia il lavoro, ma stimola la creazione di ruoli che rispondono a esigenze prima inesistenti, aprendo percorsi professionali nuovi e richiedendo una ridefinizione continuativa delle competenze umane.

Di Fantasy