Nelle notizie curiosamente tecnologiche, quella riferita da Telefriuli ha attirato l’attenzione: una persona che per due volte si è vista revocare la patente a causa di un lieve disturbo neurologico, ma che in entrambe le occasioni è riuscita a “salvare” il suo diritto a guidare grazie all’intervento dell’intelligenza artificiale. È un episodio che suona quasi come una fiaba moderna, ma che in realtà richiama questioni concrete — mediche, giuridiche e tecnologiche — da non sottovalutare.
L’uomo in questione, infatti, si è trovato al centro di una doppia procedura amministrativa della Motorizzazione civile: in un primo momento, la patente gli era stata revocata proprio a causa del disturbo neurologico. Ma invece di arrendersi, è intervenuta una “AI” che, evidentemente, ha permesso di riconsiderare la sua idoneità alla guida. In meno di un anno, la scena si è ripetuta: nuova revoca, nuovo intervento dell’intelligenza artificiale, nuova soluzione.
La notizia lascia più domande che risposte: che cosa significa “salvare” una patente tramite un algoritmo? In che ambito è stato utilizzato questo strumento — clinico, peritale, giudiziario o amministrativo? E soprattutto: quale ruolo sta assumendo l’intelligenza artificiale nei processi decisionali riguardanti i diritti individuali?
Da un lato, è evidente che la tecnologia può offrire un supporto prezioso alla diagnosi e alla valutazione clinica. Un sistema intelligente, ben progettato, può aiutare a rilevare con maggiore precisione lievi anomalie neurologiche, correlare dati di storia clinica, immagini cerebrali o altri esami, e suggerire una decisione più informata. In casi borderline, dove la distorsione individuale è minore, l’IA può fungere da “secondo occhio”, mitigando decisioni potenzialmente troppo rigide.
Dall’altro lato, resta da interrogarsi sulle garanzie: chi ha validato l’algoritmo? Qual è il livello di trasparenza del suo funzionamento? Può un cittadino opporsi a una decisione derivante da un’intelligenza artificiale? Se l’algoritmo sbaglia, chi ne risponde? In contesti clinico-legali, queste domande non sono affatto di contorno: sono il centro del dibattito sull’uso dell’IA nei processi decisionali che riguardano persone — non robot.
Per adesso, quella patente “salvata” due volte è un piccolo episodio con grande valenza simbolica. È un segnale: l’IA non è più soltanto strumento di ricerca o sperimentazione, sta diventando attore nella vita di ciascuno di noi. E quando decide chi può guidare e chi no, l’umanità deve essere pronta a vigilare — per non consegnare troppe chiavi a chi non risponde davanti a responsabilità.