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Google si trova al centro di un braccio di ferro legale che potrebbe ridefinire le regole del gioco nell’era dell’intelligenza artificiale. Una recente udienza federale negli Stati Uniti ha portato all’attenzione la questione dell’“inserimento obbligatorio” della sua app IA, Gemini, all’interno di app consolidate come YouTube e Google Maps. Secondo il Dipartimento di Giustizia, tale pratica rischia di consolidare un dominio pericoloso, mentre Google — tramite i suoi avvocati — respinge l’accusa, sostenendo che non esistono prove che i suoi prodotti siano monopolistici e che il mercato dell’IA sia ancora fluido.

La contesa parte da una politica diffusa da Google: per quanto riguarda i dispositivi Android venduti dai produttori (OEM), l’azienda richiede che alcune delle sue app — tra cui YouTube e Maps — siano preinstallate se si vuole avere accesso al Play Store. Ora, Google vorrebbe che Gemini, la sua app di intelligenza artificiale, fosse parte di quel pacchetto obbligatorio. Nella sua argomentazione, l’avvocato John Schmidtlein ha dichiarato che finora non vi è stata alcuna sentenza che definisca YouTube o Maps come prodotti monopolistici, né prove che Google abbia detenuto il monopolio nel mercato dell’IA.

Il DOJ (Dipartimento di Giustizia) di contro sostiene che la stessa logica che ha portato Google a essere sanzionata per pratiche anticoncorrenziali nella ricerca debba applicarsi anche all’IA: impedire che Gemini venga forzatamente accoppiata con app forti e consolidate come YouTube e Maps significa evitare che Google sfrutti il suo potere in un mercato per rafforzarsi su un altro. Il giudice Amit Mehta, già protagonista nei casi antitrust riguardanti Google Search, ha espresso dubbi sull’opportunità di obbligare i produttori a installare Gemini per avere le altre app.

Dietro questa contesa si intravede una strategia di lungo termine di Google: rendere Gemini ubiquo, parte integrante della “suite Google” su ogni dispositivo Android, così da inserire l’IA nel flusso d’uso quotidiano degli utenti. L’integrazione spinta con app già amortizzate nell’uso come Maps e YouTube può funzionare come leva per favorirne l’adozione. Ma questa strategia incontra ostacoli legali e tecnici. Il giudice ha sollevato preoccupazioni riguardo al potere di mercato: obbligare a installare Gemini per poter usare YouTube o Maps può dar luogo a un uso del potere esistente per estenderlo, creando una barriera artificiale per i concorrenti dell’IA.

Il caso si inserisce in una più ampia battaglia tra innovazione e regolazione. Non è la prima volta che Google si trova sotto scrutinio per pratiche di “accoppiamento obbligatorio” tra i suoi prodotti. In ambito search e pubblicità, l’azienda ha già subito restrizioni e rimedi giudiziari. Ora la domanda è se le stesse logiche debbano valere per l’IA. Google replica argomentando che l’IA è un mercato nuovo, in cui gli operatori devono poter sperimentare e competere, e che aziende come Microsoft hanno già integrato i loro moduli IA (come Copilot) nelle proprie suite software.

La posta in gioco è alta: se il giudice stabilirà che Google non può vincolare Gemini alle sue app dominanti, ciò potrebbe introdurre limiti importanti sul modo in cui le piattaforme integrate possono introdurre componenti IA. Se invece Google riuscirà a difendere il suo approccio, potremmo assistere a un’ulteriore concentrazione di potere tecnologico, in cui chi controlla le app diffuse avrà leve decisive per imporre i propri sistemi intelligenti. Al momento la sentenza definitiva non è stata emessa, ma l’attenzione su questo caso segnala quanto il dibattito tra tecnologia e antitrust si stia intensificando nell’era dell’intelligenza artificiale.

Di Fantasy