Con il lancio di Manus 1.5 la startup cinese Monica – già nota per la piattaforma Manus (o “Butterfly Effect Technology”, come è anche chiamata) – si propone non solo un miglioramento incrementale ma un salto nell’ambito della capacità contestuale e dell’autonomia operativa degli agenti digitali.

Ciò che rende particolarmente rilevante questa versione è, in primo luogo, l’elaborazione di contesto illimitato (una definizione che l’azienda stessa ha adottato), e in secondo luogo la drastica riduzione dei tempi medi di completamento dei task: da una media dichiarata di 15 minuti nelle versioni precedenti a meno di 4 minuti con Manus 1.5.

Quando Monica parla di “unlimited context processing”, non intende necessariamente che non ci siano limiti tecnici – la comunicazione ufficiale precisa che non è stato rivelato un numero di token o di files gestiti – ma che l’agente è stato riprogettato per mantenere coerenza, memoria operativa e continuità lungo workflow estesi, con numerosi sotto-compiti, versioni multiple di documenti, interazioni simultanee tra strumenti e un’apertura verso ambiti fino a oggi poco gestiti da agenti “tradizionali”.

In altre parole, siamo di fronte a un modello che tenta di superare uno dei limiti più avvertiti delle architetture basate su modelli linguistici tradizionali: la perdita della “linea del discorso” quando il compito si estende nel tempo o richiede passaggi tra più strumenti, dati, documenti. Monica afferma dunque di aver tematizzato due aspetti fondamentali: l’estensione della finestra contestuale (o della “working set” attiva) e la memoria e orchestrazione interna che consente all’agente di preservare decisioni, vincoli iniziali, cambiamenti intervenuti e strumenti attivati in una catena logica coerente.

Oltre alla capacità di gestire contesti ampi, Manus 1.5 introduce una serie di miglioramenti architetturali: parallelizzazione di fasi di pianificazione ed esecuzione, miglior affidabilità, maggior qualità nei risultati, e soprattutto la possibilità di generare applicazioni web complete partendo da un singolo prompt, includendo frontend, backend, database, autenticazione utenti e persino funzionalità AI integrate.

Questo significa che l’agente non si limita a rispondere a domande o a produrre testi, ma può essere utilizzato per realizzare prodotti finiti: software, interfacce, strumenti operativi, tutto con una modalità “dialogo-conversazione → esecuzione automatica”. In molti casi, questo apre scenari in cui l’automazione non è più un semplice supporto, ma diventa parte integrante del flusso produttivo.

Il fatto che una piattaforma commerciale annunci pubblicamente “contesto illimitato” e velocità quadruplicate segnala che siamo entrati in una fase di maturazione dell’agente AI. Finora, molte piattaforme erano limitate dalla lunghezza del contesto, dalla perdita di coerenza nelle sessioni lunghe, e dalla difficoltà a orchestrare strumenti multipli senza superiore supervisione umana. Con Manus 1.5, Monica sembra voler offrire un agente che “prenda il bastone” e operi in autonomia più ampia, mantenendo però una qualità superiore e in tempi più rapidi.

Dal punto di vista dell’adozione aziendale questa evoluzione è cruciale: diverse organizzazioni cercano strumenti che non si interrompano, non dimentichino ciò che è stato concordato all’inizio, che possano eseguire cambiamenti su più file o sistemi, e che soprattutto siano abbastanza “robusti” per essere utilizzati come parte di un flusso produttivo reale. Manus 1.5 tende a rispondere proprio a queste esigenze.

Naturalmente, resta da chiarire quanto l’“illimitato” sia effettivamente tale. Gli analisti sottolineano che in realtà si tratta di una “finestra contestuale effettivamente ampliata” e di una memoria e orchestrazione migliori, piuttosto che di una finestra teoricamente infinita.

Inoltre, va prestata attenzione ai costi: aumentare la finestra contestuale e parallelizzare le fasi di un agente implica maggior consumo computazionale, e quindi questioni di latenza, di costi, di gestione degli errori e di governance interna. Le imprese che adotteranno questo tipo di agente dovranno quindi definire bene metriche e controlli: come misurare il risparmio di tempo, come garantire l’affidabilità, come integrare supervisione umana dove serve.

Infine, non tutti i compiti o tutti gli ambienti richiedono realmente una “finestra infinita”: in alcuni casi un agente ben costruito con contesto medio — non stratosferico — può essere sufficiente e più economico. Occorre dunque valutare il trade-off tra potenza, costi e ROI.

Immaginiamo un team di sviluppo software incaricato di rifattorizzare un prodotto composto da decine di microservizi: specifiche, API, database, UI, automazione di build e deploy, test e rollback. Con un agente tradizionale si rischia che parti delle decisioni vengano “dimenticate”, che vincoli iniziali non vengano rispettati in fasi successive, che occorra un intervento manuale sostanziale. Con Manus 1.5, la piattaforma promette che l’agente potrà “tenere in memoria” l’intero flusso, mantenere vincoli, orchestrare strumenti, spostarsi tra codice, documenti e UI, testare e consegnare. Questo può davvero ridurre il tempo di sviluppo, diminuire gli errori e aumentare l’autonomia del team. Analogo ragionamento per analisi di grandi documenti, compliance aziendale, flussi legali o di ricerca: l’agente che non perde il filo può far risparmiare tempo significativo.

Questo sposta l’ago della bilancia: da “l’agente è un assistente che aiuta” a “l’agente è un membro effettivo del team operativo”.

Di Fantasy