L’entusiasmo per l’Intelligenza Artificiale nelle imprese è innegabile, ma dietro il velo di presentazioni patinate e annunci roboanti, si nasconde una realtà ben più amara: una percentuale sconfortante di progetti AI, che alcune stime fissano a nove su dieci, non riesce a superare la fase pilota e a generare un valore misurabile e sostenibile. Questa epidemia di fallimenti non è dovuta, come si potrebbe credere, a carenze di infrastruttura tecnologica o alla scarsità di talenti. La vera, profonda causa risiede in una singola, cruciale dimenticanza: la mancanza di contesto.
A sollevare il velo su questo problema sistemico è stata Celonis, azienda leader nel campo della Process Intelligence, che, per bocca del co-fondatore e co-CEO Alexander Rinke, ha lanciato un messaggio diretto alla comunità aziendale: l’AI, per la maggior parte delle imprese, semplicemente non sta funzionando. Secondo i dati citati, soltanto una minuscola frazione di aziende, appena l’11%, sta ottenendo benefici tangibili e misurabili dai propri investimenti in intelligenza artificiale.
Il cuore del problema, secondo Celonis e confermato da analisi esterne come quelle condotte dal MIT, non è nella tecnologia in sé, che è sempre più sofisticata e performante. L’ostacolo principale non è più la potenza di calcolo, la qualità dei modelli o nemmeno i rischi normativi. Il vero blocco è la cecità dell’AI aziendale rispetto al funzionamento operativo reale dell’impresa.
Un modello di intelligenza artificiale, per quanto avanzato, è essenzialmente “cieco” se non gli viene fornita una comprensione profonda dei processi aziendali sottostanti. L’AI non può ottimizzare un flusso di lavoro se non sa come quel flusso di lavoro si svolge momento per momento, quali sono i colli di bottiglia, le eccezioni, le deviazioni dalla norma e le interazioni reali tra i diversi sistemi. Senza questa intelligenza di processo, l’AI opera in un vuoto, non riuscendo a integrarsi efficacemente nei flussi di lavoro esistenti, la vera barriera che impedisce ai progetti di raggiungere la produzione e di offrire un reale valore.
L’esperienza dimostra che le iniziative di AI spesso falliscono perché vengono trattate come applicazioni stand-alone o come semplici strumenti isolati da utilizzare per compiti basilari. È vero che l’AI ha già conquistato terreno in attività semplici, come la stesura di bozze di email o l’analisi di dati di base, dove la preferenza degli utenti è netta. Tuttavia, quando si tratta di attività critiche e a lungo termine, le persone continuano a preferire l’intervento umano con un margine schiacciante, in quanto i sistemi di AI attuali tendono a “dimenticare il contesto”, non riescono a recuperare informazioni specifiche (come ordini o dettagli operativi) e rimandano la gestione dei casi limite agli operatori umani.
Perché un progetto AI abbia successo, non deve essere un add-on che complica la giornata lavorativa. Deve essere un collaboratore attivo che comprende la logica di business e si integra fluidamente. Le aziende che stanno ottenendo risultati reali non si limitano a usare l’AI per funzioni isolate, ma stanno sviluppando Sistemi Agentici (Agentic Systems): una nuova generazione di AI dotata di memoria persistente, capacità di apprendimento iterativo e di adattabilità. Questi sistemi sono in grado di migliorare con ogni interazione e di agire come partner attivi all’interno del processo.
Celonis suggerisce che la chiave per sbloccare il valore nascosto dell’AI e farla uscire dal ristretto club dell’11% di successi è l’uso della Process Intelligence. Questo approccio fornisce all’AI il “contesto” mancante. Comprendendo e analizzando la logica con cui l’azienda opera—i dati e la sequenza delle attività—si può finalmente informare, addestrare e posizionare l’AI in modo che non sia solo un modello statistico, ma un agente di cambiamento che agisce sui processi reali.
Senza questa comprensione operativa, le aziende rischiano non solo di sprecare milioni di dollari in progetti falliti, ma anche di incorrere nel fenomeno della Shadow AI, dove i dipendenti, insoddisfatti degli strumenti “ufficiali”, ricorrono a strumenti AI esterni e non autorizzati (spesso con un ROI migliore, ma con gravi rischi per la sicurezza e la governance dei dati). Il percorso verso l’adozione di successo dell’AI in azienda non è una gara tecnologica, ma una sfida di integrazione contestuale. Solo dando all’AI la capacità di vedere e comprendere i processi operativi, le aziende potranno finalmente farla maturare da esperimento di laboratorio a pilastro della loro efficienza e crescita.
