La discussione sull’uso dell’intelligenza artificiale nella cultura pop e nei videogiochi ha trovato una voce autorevole e critica nelle parole di uno dei protagonisti più noti del settore: Katsuhiro Harada, storico producer della serie Tekken. Harada non è nuovo alle riflessioni pungenti e spesso controcorrente sulla tecnologia e il suo impatto sul mondo dei videogiochi, ma questa volta la sua critica si è focalizzata su un fenomeno diventato virale: i video generati dall’intelligenza artificiale che ritraggono i personaggi di Tekken come se fossero protagonisti di storie e scene narrative indipendenti dai giochi originali. Questi contenuti, diffusi soprattutto sui social e piattaforme di condivisione video, hanno suscitato reazioni miste tra i fan, con alcuni spettatori che hanno addirittura sostenuto che tali creazioni sarebbero “meglio” dei prodotti ufficiali, scatenando il punto di vista critico di Harada.
Harada ha risposto a un utente che aveva affermato che alcuni di questi video “raccontano la storia anche meglio dei giochi” con una riflessione che va oltre il semplice disaccordo: egli ha espresso la sua preoccupazione non tanto per la qualità superficiale di alcuni contenuti AI, quanto per la mancanza di comprensione del processo creativo e storico che sta dietro a un videogioco come Tekken. Secondo lui, reagire semplicemente al risultato finale, senza considerare il lavoro, la tecnologia e le scelte narrative che hanno portato alla realizzazione di un prodotto di gioco, rivela più sul modo in cui alcune persone apprendono e percepiscono il medium piuttosto che sul valore di quel contenuto stesso.
Il paragone utilizzato da Harada è tanto provocatorio quanto efficace: giocare a Tekken oggi e confrontarlo con un video AI, secondo lui, è come guardare una proiezione restaurata di un film degli anni ’80 e chiedersi perché non venissero usati droni o CGI moderni per girarlo. È una metafora che punta dritto al cuore del problema culturale e temporale: l’intelligenza artificiale può imitare e rielaborare immagini e narrazioni, può generare scene visivamente accattivanti, ma non può incarnare la storia, l’intento creativo e il contesto di sviluppo che un team di sviluppatori mette in un gioco dopo anni di lavoro.
Harada ha poi sottolineato che il video in questione, pur potendo apparire fotorealistico in superficie, presenta differenze significative nelle interpretazioni dei personaggi, un senso di incoerenza visiva e persino un linguaggio – parlato o scritto – che resta innaturale. Questo, ha evidenziato, non è solo un limite tecnico, ma un punto critico per chi si aspetta da tali creazioni una sostituzione o un miglioramento dell’opera originale, poiché amplifica gli errori di localizzazione e di tono narrativo piuttosto che elevarli.
La critica di Harada non si limita quindi a una semplice difesa nostalgica dell’opera originale, ma invita a una riflessione più profonda sulla natura della creatività e della tecnologia: l’intelligenza artificiale, per quanto avanzata possa diventare, resta uno strumento costruito su dati e algoritmi che assimilano, imitano e rielaborano elementi esistenti. Questo significa che i risultati sono sempre una sorta di riflesso, non una creazione autonoma e originale nella piena accezione del termine. In tal senso, Harada ha ammesso che i progressi tecnici dell’IA sono indubbiamente rapidi e interessanti, e che dal punto di vista della riduzione dei costi e dell’accessibilità essi rappresentano aspetti notevoli che meritano riconoscimento. Tuttavia, ha ribadito con fermezza, questi aspetti non possono e non devono essere confusi con la capacità di creare esperienze narrative significative come quelle offerte da un gioco realizzato con cura e dedizione umana.
La posizione di Harada, in procinto di lasciare Bandai Namco dopo una carriera lunga e importante, riflette una tensione crescente nel mondo dei videogiochi e della creatività digitale: da un lato l’entusiasmo e l’innovazione che l’IA può portare, dall’altro la necessità di preservare la comprensione del valore culturale e storico delle opere originali. Le sue parole sembrano rivolgersi non solo ai fan e ai creatori di video AI, ma anche a chi, più in generale, consuma contenuti digitali senza interrogarsi sulle complesse dinamiche che li animano. In definitiva, la critica di Harada ai video di Tekken generati dall’intelligenza artificiale non è un rifiuto della tecnologia, ma un invito a guardare oltre l’apparenza, a comprendere e rispettare la profondità di un medium che combina arte, tecnologia e impegno creativo.
