L’intelligenza artificiale generativa sta attraversando una fase di profonda trasformazione che segna la fine dell’era del dominio assoluto di OpenAI. Secondo i dati più recenti diffusi da Similarweb e analizzati dagli esperti del settore, la quota di mercato di ChatGPT è scesa al 68%, un calo significativo se si considera che solo un anno fa il chatbot di Sam Altman controllava oltre l’ottantasette per cento del traffico web globale nel suo comparto. Questo dato non indica necessariamente una crisi di popolarità per ChatGPT, che continua a far registrare numeri impressionanti con circa ottocento milioni di utenti settimanali, ma evidenzia piuttosto una saturazione del mercato e la crescita prepotente di alternative sempre più valide e integrate.
Il principale beneficiario di questa erosione è senza dubbio Google con il suo ecosistema Gemini. In un solo anno, il colosso di Mountain View è riuscito a triplicare la propria presenza, passando da una quota marginale poco sopra il 5% a oltre il 18%. Il successo di Gemini non è casuale ma deriva da una strategia aggressiva che punta sull’integrazione nativa all’interno di strumenti che miliardi di persone usano già quotidianamente, come la suite Workspace, Google Search e i dispositivi Android. L’introduzione di modelli avanzati come Gemini 3 e di funzionalità creative particolarmente apprezzate dal pubblico, tra cui il generatore di immagini Nano Banana Pro, ha permesso a Google di colmare il divario tecnologico e percettivo che la separava da OpenAI.
Oltre al duello tra i due giganti, il mercato si sta frammentando a favore di altri attori specializzati. Grok, l’intelligenza artificiale legata alla piattaforma X di Elon Musk, ha iniziato a ritagliarsi uno spazio solido arrivando a sfiorare il tre per cento, trainato dall’accesso in tempo reale ai dati del social network. Allo stesso tempo, realtà come la cinese DeepSeek mantengono una posizione stabile attorno al quattro per cento, mentre software più orientati alla ricerca o alla scrittura creativa, come Perplexity e Claude di Anthropic, continuano a erodere piccole ma significative fette di utenza fedele. Questa diversificazione suggerisce che gli utenti non si accontentano più di un unico strumento generico, ma iniziano a scegliere la propria intelligenza artificiale in base a compiti specifici o alla qualità dei risultati in ambiti particolari, come il coding o l’analisi dei dati.
Un segnale preoccupante per OpenAI riguarda però la monetizzazione. Nonostante la base di utenti complessiva sia ancora in crescita, il tasso di conversione verso gli abbonamenti a pagamento sembra aver raggiunto un punto di stallo. Solo una piccola frazione degli utilizzatori di ChatGPT sceglie di sottoscrivere i piani premium e i dati indicano che nei principali mercati europei la crescita dei nuovi abbonati si è fermata dalla scorsa primavera. Questo fenomeno mette in luce una sfida cruciale per il futuro: la difficoltà di convincere il grande pubblico a pagare per servizi che i concorrenti, grazie a infrastrutture cloud già esistenti e modelli di business pubblicitari, possono permettersi di offrire a costi ridotti o inclusi in altri pacchetti.
Quello a cui stiamo assistendo è l’evoluzione naturale di un settore che sta passando dalla fase dell’entusiasmo pionieristico a quella della maturità competitiva. Se i primi anni sono stati caratterizzati dalla sorpresa per le capacità di ChatGPT, il presente è dominato dalla solidità delle infrastrutture. Google sta sfruttando il suo immenso vantaggio logistico e di dati per trasformare la sfida tecnologica in una guerra di distribuzione, rendendo la propria intelligenza artificiale onnipresente e invisibile. Per OpenAI e gli altri attori indipendenti, la sfida dei prossimi mesi sarà quella di innovare non solo nella potenza dei modelli di calcolo, ma nella capacità di offrire un valore aggiunto che giustifichi la preferenza degli utenti in un ecosistema sempre più affollato e agguerrito.
