Immagine AI

L’avvento degli Agenti Autonomi basati sull’Intelligenza Artificiale sta trasformando radicalmente il panorama aziendale e tecnologico. Questi compagni digitali non sono semplici strumenti passivi, ma entità capaci di prendere decisioni in tempo reale, orchestrare flussi di lavoro complessi, generare codice e persino interagire con sistemi e dati in totale autonomia. Se da un lato promettono un’efficienza senza precedenti, dall’altro mettono in luce una falla strutturale nei sistemi di sicurezza informatica contemporanei: il Traditional Identity and Access Management (IAM), storicamente costruito attorno all’essere umano.

I sistemi IAM attuali, pilastri della sicurezza aziendale da decenni, si basano su presupposti che l’AI Agente viola intrinsecamente. Sono progettati per gestire identità prevedibili, con orari di lavoro definiti, sessioni lunghe e processi di autenticazione come la Multi-Factor Authentication (MFA) che richiedono un’interazione umana. Tuttavia, gli agenti AI operano con una logica completamente diversa. Sono identità non-umane (NHIs) che possono moltiplicarsi rapidamente, eseguendo migliaia di istanze effimere che vivono solo per pochi minuti o secondi per completare un compito specifico per poi scomparire.

Il problema principale risiede nella natura dinamica e non deterministica degli agenti AI. A differenza di un’applicazione o un account di servizio che ha un ruolo statico e predefinito, un agente autonomo necessita di permessi altamente granulari e contestuali. Un agente incaricato di prenotare un viaggio per un dirigente, ad esempio, deve accedere alla sua casella di posta, al suo calendario e ai servizi di prenotazione, ma solo per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del compito. L’applicazione di ruoli statici e ampiamente permissivi, come il “Responsabile Prenotazioni”, crea un rischio enorme di eccesso di privilegi, una delle principali cause di violazioni della sicurezza nel cloud.

Inoltre, la gestione dell’identità per l’AI Agente introduce complessità mai viste. Un agente può agire per conto di un utente, delegare compiti a sub-agenti, o comunicare direttamente con altri agenti per completare una catena di azioni complessa. Questo crea catene di delega ricorsive e un’architettura di fiducia stratificata che i protocolli esistenti come OAuth 2.1 non sono in grado di gestire in modo sicuro ed efficiente.

Un altro aspetto critico è la difficoltà di tracciabilità e responsabilità. Quando un agente compie un’azione critica, è fondamentale stabilire se l’azione è stata eseguita per conto di un utente specifico o se è stata il risultato di una decisione autonoma dell’AI. Attualmente, molti agenti ereditano semplicemente le autorizzazioni dell’utente che li ha attivati, creando un “gap di responsabilità” e mascherando la vera fonte di un potenziale incidente di sicurezza o di una violazione di conformità. La proliferazione incontrollata di questi agenti non sanzionati sta già dando vita a una vera e propria “Shadow AI”, che opera al di fuori delle strutture di governance approvate.

Di fronte a questa “crisi di autorizzazione”, la soluzione non può essere un semplice aggiustamento del vecchio sistema, ma richiede un ripensamento fondamentale dell’architettura di sicurezza. Il futuro dell’IAM deve abbracciare un modello “Agent-Native” che si allinea ai principi del Zero Trust, trattando ogni agente come un’identità distinta e non fidata, da verificare continuamente.

Questo cambiamento è guidato da diversi principi emergenti:

  • Autorizzazione Just-in-Time (JIT) e a Scopo Limitato: Invece di concedere autorizzazioni permanenti e generiche, un agente dovrebbe iniziare con privilegi minimi (o zero) e richiedere permessi specifici solo al momento esatto in cui ne ha bisogno per un’azione. Queste credenziali devono essere di breve durata, effimere, e revocate immediatamente una volta completato il compito, prevenendo il rischio di permessi persistenti che sopravvivono all’agente stesso.
  • Verifica dell’Intento e Contesto-Dipendente: L’accesso non deve basarsi solo su chi è l’agente, ma su cosa intende fare e in quale contesto operativo si trova. Si passa da un controllo basato sui ruoli (Role-Based Access Control, RBAC) a un controllo basato sugli attributi e sull’intento (Attribute-Based Access Control, ABAC), dove la decisione di accesso viene presa in tempo reale analizzando il contesto, l’azione richiesta e il livello di rischio associato.
  • Identità Verificabili e Tracciabilità Integrata: È necessario definire identità ricche e verificabili per gli agenti, che ne consentano l’autenticazione dinamica. Questa identità deve supportare flussi di delega espliciti, noti come flussi “on-behalf-of”, in modo che ogni azione possa essere tracciata fino all’agente specifico e, di conseguenza, all’utente o al sistema che lo ha autorizzato. La trasparenza e l’auditabilità del processo decisionale dell’AI diventano un requisito fondamentale per la conformità.

Mentre l’AI Agente promette di diventare la nuova interfaccia per il lavoro aziendale, la sua adozione su larga scala dipende interamente dalla capacità del settore della sicurezza di costruire una nuova fondazione fiduciaria. Tentare di inserire entità autonome e dinamiche in schemi di sicurezza pensati per gli esseri umani è una ricetta per il disastro. La sicurezza nell’era dell’AI non è solo una questione di cosa gli agenti possono fare, ma di quanto possiamo fidarci che lo facciano in modo sicuro e responsabile.

Di Fantasy