Negli ultimi anni, grazie all’avanzamento delle tecnologie digitali e, in particolare, all’intelligenza artificiale, è diventato sempre più frequente imbattersi in immagini e video che cercano di restituire alla nostra immaginazione com’era davvero l’Antica Roma. Un recente video pubblicato da Il Messaggero mostra una di queste ricostruzioni generate con l’aiuto di modelli di intelligenza artificiale, e ha riacceso l’interesse (e anche qualche dubbio) su quanto siano affidabili queste rappresentazioni.
Le tecnologie attuali permettono di inserire descrizioni testuali in sistemi basati su intelligenza artificiale e ottenere visualizzazioni tridimensionali e animate di città e monumenti. Nel caso di Roma antica, queste immagini cercano di dare forma alle sue strade, edifici, piazze e complessi monumentali utilizzando dati storici, mappe archeologiche e suggestioni visive. Idee come il Circo Massimo, il Colosseo in tutta la sua maestosità, il Foro Romano e altri punti simbolo dell’impero possono così essere visualizzati in forma digitale, creando un’esperienza visiva che fa sentire lo spettatore come se stesse camminando nella città eterna di duemila anni fa.
Tuttavia, proprio perché si tratta di modelli generativi basati su intelligenza artificiale, è importante comprendere i limiti intrinseci di queste rappresentazioni. Diversi media internazionali hanno infatti evidenziato come molte di queste ricostruzioni contengano errori o elementi non storicamente accurati, più frutto dell’interpretazione dell’algoritmo che di una fedele ricostruzione archeologica. In altre parole, l’IA “compone” scene secondo logiche interne, sfruttando pattern visivi e descrizioni ma senza una piena comprensione critica dei dati storici.
Questo non significa che tali immagini siano prive di valore: al contrario, esse rappresentano uno strumento potentissimo per stimolare l’interesse del grande pubblico verso il mondo antico e per offrire un ponte tra passato e presente che va oltre le tradizionalissime ricostruzioni statiche. La potenza dell’IA sta nel combinare fonti disparate e restituire un’immagine d’insieme che può aiutare a visualizzare realtà altrimenti difficili da immaginare. Restituiscono vita alle pietre, ai resti archeologici, alle planimetrie, e permettono di esplorare l’ambiente urbano e sociale di un’epoca ormai scomparsa.
Per gli archeologi, gli storici e gli studiosi, questi strumenti rappresentano un complemento utile alla ricerca, ma non un sostituto delle metodologie scientifiche consolidate. Ricostruzioni come quelle che vediamo nei video generati dall’IA devono essere accompagnate da contestualizzazione storica, confronto con fonti primarie e verifica architettonica e archeologica. L’interpretazione umana, infatti, resta insostituibile nel valutare cosa è realistico e cosa invece è più suggestivo o speculativo nelle immagini digitali.
In questo senso, i contributi visivi offerti dall’intelligenza artificiale sono spesso paragonabili alle grandi ricostruzioni del passato, come quelle del modello in plastico di Roma antica di Italo Gismondi o dei progetti digitali Rome Reborn, che combinano dati storici con tecnologie moderne per creare modelli navigabili della città imperiale. Sono strumenti che aiutano a comprendere non solo la forma degli edifici, ma anche il modo in cui gli spazi urbani potevano essere vissuti, attraversati e percepiti dalle persone dell’epoca.
D’altra parte, chi guarda questi video deve sempre tenere presente che l’IA non “conosce” la storia nel senso umano del termine: non può distinguere tra fonti certe e ipotesi ricostruttive, e tende a creare immagini basate su analogie e pattern piuttosto che su rigore scientifico. Per questo motivo, questi strumenti devono essere usati con senso critico e come punto di partenza per approfondire e incontrare la conoscenza storica vera, non come fine ultimo.
