Durante la conferenza TED AI Conference tenutasi di recente nella Silicon Valley, May Habib, co-fondatrice e CEO di Writer AI, ha lanciato un’accusa diretta e senza giri di parole nei confronti dei dirigenti di molte aziende della classifica Fortune 500: l’adozione dell’intelligenza artificiale non solo non sta semplificando la vita aziendale, ma anzi la sta “dilaniando”. Per Habib il problema non è l’IA in sé, bensì il modo in cui viene gestita: molte organizzazioni infatti trattano la trasformazione AI come un aggiornamento tecnologico qualsiasi, delegandola ai reparti IT anziché reinventare il modello operativo aziendale.
Habib ha citato dati provenienti da un sondaggio interno: su circa 800 dirigenti del C-suite intervistati, il 42% ha dichiarato che l’introduzione dell’IA sta mettendo a rischio la coesione e l’efficacia della propria azienda. Questo numero appare allarmante, perché segnala che non si tratta di fallimenti isolati, ma di una tendenza diffusa all’interno di imprese che spesso vantano risorse, brand e infrastrutture notevoli.
Secondo Habib, la radice dell’errore è un «category error» nelle politiche di trasformazione digitale: le imprese pensano all’IA come a un nuovo software da distribuire, piuttosto che a un cambiamento radicale nei processi, nei ruoli e nelle gerarchie. «Non è come dare ai contabili delle calcolatrici o agli analisti di dati Excel», ha affermato, «questo è un cambiamento molto più profondo».
L’argomento che Habib porta è che fino a oggi le aziende sono state costruite secondo un paradigma preciso: l’esecuzione era costosa, difficile, richiedeva persone, processi e controlli complessi. Con l’IA questo paradigma si inverte: l’esecuzione diventa “programmabile, on-demand e abbondante”.
In pratica, dove prima il collo di bottiglia era “fare” bene, ora il collo di bottiglia diventa progettare bene: definire come il lavoro, le decisioni, le interfacce, i flussi informativi e i compiti umani verranno ricombinati attorno all’IA. Ed è qui che, secondo lei, i leader aziendali stanno venendo colti impreparati.
Habib ha sottolineato inoltre che l’errore gravissimo è delegare la trasformazione IA al solo reparto IT o a un “centro di eccellenza IA”, perché l’IA non può essere un progetto isolato: «È in ogni flusso di lavoro, in ogni unità di business», ha detto, «ed è ora la parte più importante del lavoro di un leader, non qualcosa che può essere delegato».
Un ulteriore aspetto che emerge dall’intervento è quello della “transfer di potere generazionale”: non si tratta tanto dell’età o dell’esperienza dei dirigenti, ma del modo in cui concepiscono il loro ruolo. Habib ha affermato che stiamo vivendo un passaggio in cui il potere si sposta verso chi comprende come riprogettare il lavoro, non semplicemente come gestire il “fare”.
Per le aziende che affrontano oggi l’adozione dell’IA, il messaggio è chiaro e in qualche modo inquietante: non basta mettere modelli, algoritmi o chat-bot in azienda e aspettarsi miracoli. Occorre ripensare strutture, ruoli, criteri di misurazione, ma soprattutto il come l’azienda lavora. L’IA, quando viene introdotta senza questa riflessione, rischia di generare più caos che efficienza.
In sintesi, l’accusa di May Habib è potente: molte imprese stanno investendo miliardi in iniziative IA che «non stanno da nessuna parte», perché non hanno cambiato il modo in cui il lavoro viene progettato e eseguito, bensì hanno semplicemente aggiunto un nuovo tool al vecchio modo di lavorare.