New York City è da sempre la quintessenza del mercato immobiliare commerciale: vetrina di investimenti milionari, crocevia di grandi società, hub pulsante di flussi economici globali. Ma nel 2025, quel che pareva un terreno solido sta diventando instabile. La domanda si sta affievolendo, gli edifici meno prestigiosi vacillano, le cifre che prima sembravano certe oggi scricchiolano, e la sfida più grande è capire com’è possibile reagire. È qui che irrompe l’intelligenza artificiale: più che una moda, una possibilità concreta di riscatto. Ma può davvero risollevare un settore che sta mostrando da più parti segni di cedimento?
La svolta negativa si è fatta sentire soprattutto negli immobili “di mezzo” e “di basso standing”. Quegli spazi che non brillano per posizioni premium o per lusso, che non possono vantare visi noti tra i tenant prestigiosi, che non godono delle migliori infrastrutture. In questi edifici, la disoccupazione degli spazi, le stanze vuote, il calo degli affitti stanno diventando una costante. Alcune banche, nel tentativo di camuffare rischi crescenti, stanno prorogando prestiti, evitando il rifinanziamento sotto tassi più alti: una tattica che dà fiato oggi, ma che può nascondere problemi più seri domani.
Non tutto è perduto, ovviamente. Alcune proprietà di Classe A — quelle con vista, con servizi all’avanguardia, con posizione top — resistono meglio. Sono loro che fungono da ancora di salvezza, che mantengono una certa stabilità nel sistema. Tuttavia il divario con il resto del mercato si sta ampliando, con costi di manutenzione, spese operative, problemi strutturali e inefficienze che mordono parecchio i margini nei palazzi meno prestigiosi.
L’intelligenza artificiale non è vista solo come uno strumento tecnologico supplementare: sempre più persone nel settore credono che possa diventare l’elemento decisivo per il cambiamento. Perché? Perché alcune delle debolezze del mercato immobiliare commerciale sono proprio nell’inefficienza operativa, nei dati frammentati, nelle spese energetiche sproporzionate, nella normazione ambientale che chiede sempre più trasparenza, sostenibilità e certificazioni.
Un caso concreto lo offre il sistema HVAC (riscaldamento, ventilazione, aria condizionata): in edifici dove questi impianti sono datati, dove la manutenzione è poco sistematica, dove i controlli sono manuali e ritardati, i costi energetici schizzano, l’usura diventa rapida, la qualità dell’aria soffre. Inserire sensori, automatizzare il controllo, prevedere guasti, regolare il flusso dell’aria, monitorare CO₂ e altri parametri ambientali, tutto questo può fare la differenza non solo per il risparmio, ma per la salute e la sicurezza degli occupanti. Un esempio citato racconta che un edificio a Broadway ha abbassato il suo consumo energetico del 16%, risparmiando decine di migliaia di dollari l’anno, solo grazie a un sistema di controllo AI-based del suo impianto HVAC.
Ma non si tratta solo di aria, energia, risparmi. È questione di flessibilità, di layout degli spazi che rispondono a modelli di lavoro ibridi, di edifici che sappiano diventare più “smart”, non solo tecnologicamente, ma culturalmente connessi alle esigenze delle nuove generazioni di lavoratori. Adattare gli spazi, fare in modo che siano più confortevoli, più sicuri, più efficienti, più attrattivi anche per chi non ha bisogno di presenziare in ufficio ogni giorno.
Naturalmente, la trasformazione non è né semplice né priva di rischi. In primo luogo, molti edifici non sono preparati per queste innovazioni: sistemi antiquati, impianti obsoleti, dati non raccolti, manutenzione arretrata. Spesso manca la visione, manca la capacità tecnica di implementare soluzioni AI, manca la fiducia che i costi di aggiornamento possano restituire valore nel tempo. Anche la normativa può essere un ostacolo, se i requisiti ambientali e di sicurezza evolvono lentamente, oppure se le leggi locali non favoriscono gli incentivi.
Un altro nodo è la domanda: chi occupa quegli spazi? Le aziende che tornano in ufficio lo fanno con modalità diverse, chiedendo spazi più flessibili, meno rigidi. Alcune si affidano a coworking, altre cercano spazi che possano funzionare anche come laboratori, data center, spazi ibridi. Serve un ripensamento profondo dell’uso, dell’affitto, dei contratti: non più solo metri quadrati, ma valore aggiunto, servizi, efficienza, benessere.
Infine, la concorrenza è reale: altre città o regioni potrebbero offrire incentivi migliori, costi inferiori, regolamentazioni più agevoli. New York può essere centrale, può essere all’avanguardia, ma non può dormire sugli allori. Deve continuare a investire, a semplificare, a sostenere il cambiamento.
Alla fine, l’intelligenza artificiale non è la bacchetta magica che cancella le difficoltà del mercato immobiliare commerciale, ma è senza dubbio uno strumento potente che può cambiare radicalmente le strategie. Se usata con lungimiranza, con investimenti mirati, con attenzione ai bisogni dei tenant e dell’ambiente, può trasformare edifici che oggi vacillano in asset resilienti, richiesti, efficienti.
New York ha davanti una scelta: restare legata a modelli tradizionali che rischiano di diventare insostenibili, oppure abbracciare l’innovazione non come opzionale, ma come necessaria. Nel panorama in trasformazione del lavoro, della tecnologia, delle aspettative sociali, chi saprà leggere i segnali, anticipare i cambiamenti, adattarsi, avrà probabilmente un vantaggio competitivo forte. Edifici che sapranno essere più intelligenti, più sostenibili, più attrezzati per il nuovo mondo, non saranno solo “survive”, ma potranno prosperare.