Il panorama dei contenziosi legali nel mondo dell’intelligenza artificiale si arricchisce di un nuovo capitolo significativo, segnando un punto di svolta per la strategia scelta dagli autori per difendere la propria proprietà intellettuale. John Carreyrou, il celebre giornalista investigativo del New York Times e autore del bestseller “Bad Blood”, ha deciso di muovere guerra ai giganti della tecnologia, intentando una causa presso un tribunale federale della California. La notizia assume una rilevanza particolare perché, per la prima volta in assoluto, tra i colossi accusati di aver utilizzato illegalmente opere protette da copyright per l’addestramento dei propri modelli compare xAI, la società di intelligenza artificiale fondata da Elon Musk, che finora era rimasta fuori dal mirino giudiziario degli scrittori.

Oltre alla società di Musk, la denuncia coinvolge i protagonisti più noti del settore, come OpenAI, Google, Anthropic, Meta e Perplexity, tutti accusati di aver copiato e processato il lavoro di Carreyrou e di altri cinque autori senza alcuna autorizzazione o compenso. Tuttavia, l’aspetto più interessante di questa iniziativa legale non risiede solo nei nomi degli imputati, ma nella natura stessa della causa. A differenza di molti altri procedimenti simili che si sono trasformati in azioni collettive, o class action, i ricorrenti in questo caso hanno esplicitamente dichiarato di non voler seguire quella strada. La loro intenzione è quella di mantenere la causa su un piano individuale, rifiutando l’idea di una transazione cumulativa che finirebbe per avvantaggiare più gli studi legali che gli effettivi creatori delle opere.

La critica sollevata da Carreyrou e dai suoi legali tocca un punto dolente del sistema giudiziario americano applicato al diritto d’autore. In una class action, infatti, il risarcimento complessivo viene solitamente diviso tra migliaia di partecipanti, portando spesso a somme individuali irrisorie. Il riferimento corre subito al caso di Anthropic, che lo scorso settembre ha accettato di pagare una cifra enorme, pari a un miliardo e mezzo di dollari, per chiudere una disputa con un vasto gruppo di autori. Nonostante l’entità della somma, una volta divisa tra tutti i potenziali aventi diritto, il pagamento per singolo scrittore risulterebbe essere di appena tremila dollari, una minima frazione rispetto ai centocinquantamila dollari per opera previsti come massimo risarcimento dalla legge federale.

Questa nuova causa si configura quindi come una ribellione contro il modello delle transazioni di massa “a basso costo”, che secondo i ricorrenti permettono alle aziende tecnologiche di risolvere migliaia di violazioni di alto valore con un impegno economico tutto sommato gestibile rispetto ai loro fatturati. La strategia di Carreyrou sembra essere guidata dalla volontà di ottenere un riconoscimento pieno del valore della sua ricerca giornalistica, impedendo che il suo lavoro venga svenduto all’interno di un calderone legale troppo vasto. Dietro l’azione si muove un avvocato già noto per aver raccolto il malcontento degli scrittori insoddisfatti dei precedenti accordi transattivi, segnando una spaccatura nel fronte degli autori che cercano giustizia contro lo sfruttamento dei dati.

Il risultato di questo scontro potrebbe definire nuovi standard per il modo in cui il valore intellettuale viene quantificato nell’era dell’apprendimento automatico. Se la corte dovesse dare ragione a Carreyrou, il precedente potrebbe spingere molti altri autori di alto profilo a rinunciare alle class action in favore di cause individuali, costringendo le aziende di intelligenza artificiale a trattare ogni singola opera come un asset di valore unico e non come un semplice dato statistico all’interno di un dataset immenso. Mentre xAI fa il suo debutto ufficiale nelle aule di tribunale per questioni di copyright, l’intero settore osserva con attenzione, consapevole che il costo dello sviluppo tecnologico potrebbe diventare improvvisamente molto più salato.

Di Fantasy