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Quando Sam Altman è salito sul palco al Dev Day 2025, davanti al pubblico radunato nel Fort Mason Center di San Francisco e con il Golden Gate sullo sfondo, qualcosa è cambiato davvero. Non era più soltanto l’era della “chat con l’AI”: era l’annuncio di un mondo nel quale ChatGPT si trasforma da semplice strumento conversazionale a fulcro di un intero ecosistema di applicazioni e agenti autonomi.

Il primo colpo d’occhio è impressionante: ChatGPT non è più solo un contenitore di conoscenza da interrogare; diventa un ambiente nel quale gli sviluppatori possono costruire applicazioni, distribuire interfacce ricche e integrarsi direttamente in conversazione. Con l’“Apps SDK”, le app possono vivere dentro la chat, adattarsi al contesto, offrire viste a schermo intero e interagire con l’utente come farebbe un’app nativa, ma restando sempre parte del dialogo. Le demo presentate durante l’evento mostrano un’armoniosa integrazione: chiedi spiegazioni su un corso con ChatGPT e, nello stesso contesto, richiami Canva per generare un’immagine; esplora case su Zillow tramite mappa inclusa senza uscire dalla finestra di chat. In breve: il chatbot diventa un sistema operativo di tipo conversazionale, un “luogo” da cui esplorare applicazioni e servizi anziché un’interfaccia terminale fine a se stessa.

Ma la novità non si ferma qui. Se il passaggio da “fare domande” a “chiedere di fare” segna un salto concettuale nell’uso quotidiano dell’AI, il secondo pilastro dell’offensiva è legato all’“Agent Kit”. Mentre le app portano il mondo dentro ChatGPT, gli agenti portano l’intelligenza fuori, a compiere azioni autonome. OpenAI mette a disposizione gli strumenti per progettare flussi complessi, deployare agenti dentro qualsiasi applicazione e valutare (e migliorare) prestazioni. In un esempio concreto, un agente “procurement” viene istruito per rispondere a una semplice richiesta aziendale: “Voglio cinque nuove licenze ChatGPT business”. Da lì, l’agente verifica politiche interne, cerca fornitori, costruisce un pagamento virtuale e completa tutta la procedura, in pochi istanti. Un processo che prima poteva richiedere giorni. È una riprogettazione dell’automazione: non più scenari statici predefiniti, ma agenti che “capiscono” e agiscono in contesti mutevoli.

Ancora più impressionante è la trasformazione che coinvolge lo sviluppo software stesso. Codex, l’agente di scrittura codice, diventa un prodotto completo: incarna il ruolo di un compagno di lavoro che capisce il contesto, che riceve istruzioni da Slack, genera codice, apre pull request e persino revisiona il lavoro di altri ingegneri. In un’illustrazione spettacolare, Codex ha preso una semplice bozza disegnata su una lavagna e l’ha tradotta in un’interfaccia mobile funzionante. Ancora di più: l’app così creata poteva “auto-evolversi”, modificandosi in tempo reale in base ai suggerimenti dell’utente. È un mondo dove il codice non è un prodotto finito, ma un organismo vivente che risponde alle tue parole.

Eppure il cambiamento più radicale è ciò che non è stato mostrato del tutto: l’hardware. Durante un momento privato, non trasmesso in livestreaming, Altman e Jony Ive – l’ex guru del design Apple – hanno rivelato che lavorano da tre anni a dispositivi AI-centrici. Ive, che ha plasmato l’aspetto di prodotti iconici come iPhone, iMac e Apple Watch, ha parlato di una “relazione spezzata” con la tecnologia attuale e della necessità di ridefinire il modo in cui interagiamo con l’intelligenza artificiale. Il loro obiettivo non è solo creare un gadget nuovo, ma ripensare completamente lo “scaffale” fisico su cui la nostra intelligenza digitale poggia. I dettagli restano segreti, ma il colpo d’effetto è forte: OpenAI non si accontenta di controllare il cloud, punta anche al dispositivo, al corpo fisico che porta l’AI nel mondo reale.

Dietro tutte queste novità, c’è un vincolo sempre più palpabile: la potenza computazionale. Se le idee appaiono ambiziose, la sfida tecnica è colossale. OpenAI, Altman lo ribadisce con insistenza, è in lotta con i limiti dell’hardware e degli investimenti infrastrutturali. Anche con partnership strategiche con realtà come AMD, il bisogno di computazione a scala industriale sembra un’insaziabile fame che guida la società. Non si tratta solo di rendere i sistemi più potenti: si tratta di alimentarli per sostenere un’era in cui l’intelligenza diventa la piattaforma principale.

È difficile non vedere in questo momento un punto di svolta. Fino ad oggi, abbiamo usato modelli di intelligenza artificiale come strumenti; ora OpenAI vuole che diventino ambienti, compagni e colonna portante dell’esperienza digitale. In questo quadro, ChatGPT non è più una finestra attraverso la quale “chiedere”, ma un portale da cui far emergere azioni, automazioni, evoluzioni persistenti. E il fatto che OpenAI stia costruendo anche hardware suggerisce che il confine tra software e dispositivo si assottiglia, che la frontiera dell’innovazione si sposta verso un’unità seamless.

Di Fantasy