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Il settore aziendale è attualmente dominato da una frenetica corsa all’integrazione dell’intelligenza artificiale (AI). Se da un lato l’adozione di strumenti di AI generativa è ormai una realtà per oltre il settanta per cento delle organizzazioni, un dato sorprendente rivela che solo una minuscola frazione di esse si considera “matura” nella sua implementazione. Questo divario indica che la maggior parte delle aziende sta ancora lottando per inserire l’AI in modo che produca un reale valore di business. La difficoltà risiede spesso in una sottovalutazione della complessità dell’adozione dell’AI, portando le imprese a inciampare in una serie di errori ricorrenti che ne rallentano il progresso.

Il primo e più comune passo falso è la mancanza di un problema chiaro da risolvere. Molte aziende si affrettano a implementare l’AI per una semplice paura di rimanere indietro, il cosiddetto FOMO (Fear Of Missing Out), lasciando che l’ansia competitiva diventi il motore primario dell’adozione. Un’AI introdotta senza un obiettivo mirato e ben definito, tuttavia, raramente riesce a semplificare le operazioni, trasformandosi spesso in una spesa superflua. I dati confermano questa dinamica allarmante: quasi il novanta per cento dei progetti pilota di AI non raggiunge mai la fase di produzione, principalmente a causa dell’assenza di obiettivi di business precisi e di risultati misurabili. Per scongiurare il fallimento, un progetto dovrebbe sempre partire da una chiara identificazione del problema, definendo una specifica metrica aziendale – che sia l’aumento dei ricavi, la riduzione dei costi operativi o l’accelerazione dei processi decisionali – e assegnando un responsabile che risponda dei risultati.

Una volta individuato l’obiettivo, l’ostacolo successivo e ineludibile è la qualità e la governance dei dati. I sistemi di intelligenza artificiale, per funzionare correttamente, richiedono un accesso continuo a dati che siano non solo numerosi, ma soprattutto di elevata qualità, completezza e coerenza. La scarsa qualità dei dati e la mancanza di una governance adeguata sono citate come le principali barriere all’adozione dell’AI da una percentuale significativa di aziende. Nonostante la consapevolezza del ruolo cruciale che l’AI svolge nei programmi di gestione dati, pochissime organizzazioni ritengono che i propri dati siano sufficientemente accessibili e di qualità tale da consentire un’implementazione efficace dell’AI. Le aziende che hanno successo in questo campo dedicano una porzione consistente del tempo del progetto, che può arrivare fino all’ottanta per cento, alla preparazione dei dati: pulizia, allineamento delle definizioni tra i vari dipartimenti e istituzione di ruoli chiari per la proprietà e il controllo della qualità. Questo lavoro fondamentale è il prerequisito per costruire sistemi di AI accurati, privi di bias e pronti per l’uso in produzione.

Il terzo errore è spesso di natura umana: l’impreparazione dei dipendenti a utilizzare efficacemente l’AI. L’integrazione dell’AI fallisce quando gli strumenti vengono introdotti senza colmare il divario di competenze esistente nel personale. Molti professionisti non sanno come interagire con i nuovi tool o come ottimizzare i processi aziendali che coinvolgono l’AI. Senza una formazione strutturata che delinei passi concreti per l’integrazione nel flusso di lavoro quotidiano, i dipendenti tendono naturalmente a ripiegare sui metodi familiari. Di conseguenza, l’implementazione tecnologica si trasforma in un costo inutile invece che in un catalizzatore di valore, rendendo l’innalzamento delle competenze interne un imperativo strategico per la leadership aziendale.

A livello strategico, la mancanza di una gestione del rischio rappresenta il quarto errore cruciale. Le grandi aziende che adottano l’AI hanno quasi tutte subito perdite finanziarie significative, spesso multimilionarie, a causa di errori del modello, violazioni della compliance o rischi non controllati. È fin troppo comune che le aziende trascurino la necessità di anticipare i rischi, definire politiche di utilizzo chiare, implementare controlli di qualità e pianificare la gestione degli errori. Le problematiche più frequenti includono la non conformità con normative in evoluzione – come l’EU AI Act che richiede trasparenza algoritmica, responsabilità e supervisione umana obbligatoria – e la tendenza dell’AI a produrre decisioni distorte (biased). È indispensabile che le organizzazioni adottino un piano di gestione del rischio proattivo, aderendo agli standard locali e internazionali per garantire che l’AI sia non solo un motore di crescita ma anche un sistema etico e governabile.

Infine, l’errore di prospettiva si manifesta nella mancanza di un piano di scalabilità a lungo termine. L’integrazione dell’AI non è mai un progetto una tantum; è un processo continuo che richiede aggiornamenti e aggiustamenti costanti. Molte aziende non considerano adeguatamente come la soluzione si inserirà nell’architettura IT esistente, chi manterrà il modello nel tempo, come verrà monitorato il potenziale spostamento dei dati (data drift) e come saranno distribuite le responsabilità tra i dipartimenti. Per avere successo, è necessario costruire un ambiente unificato per la gestione di tutti i modelli, dataset e strumenti correlati. Creare un’infrastruttura capace di garantire che i sistemi di AI operino in modo affidabile su vasta scala, con politiche chiare per il retraining, la convalida e il redeployment dei modelli, insieme a processi di monitoraggio standardizzati e al finanziamento continuo delle risorse dedicate, è fondamentale per garantire che l’investimento in AI rimanga vitale e strategicamente rilevante negli anni a venire.

Di Fantasy