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Nel cuore della Silicon Valley, la corsa all’intelligenza artificiale non si combatte solo a colpi di algoritmi sofisticati, ma anche e soprattutto attraverso il controllo della potenza di calcolo. Google, colosso che ha costruito il proprio impero sulla gestione dei dati, si trova oggi ad affrontare una sfida paradossale: la domanda interna ed esterna di risorse informatiche ha superato la capacità di offerta. Per gestire questa tensione, l’azienda ha creato un nuovo comitato decisionale ristretto, composto dai suoi dirigenti più influenti, incaricato di arbitrare le dispute interne e stabilire quali progetti debbano avere la priorità nell’accesso ai chip e ai data center.

La necessità di questo organismo nasce da una realtà strutturale complessa. Le decisioni di investimento prese anni fa, quando la spesa in conto capitale era una frazione di quella attuale, condizionano la disponibilità odierna di server e semiconduttori. Nonostante Google stia raddoppiando i propri investimenti infrastrutturali, con cifre che sfiorano i cento miliardi di dollari, la costruzione di data center richiede tempi fisici che non possono essere accelerati istantaneamente. In questo contesto di scarsità, le diverse anime dell’azienda sono entrate in rotta di collisione: da una parte Google Cloud, che deve soddisfare i clienti aziendali per generare ricavi, dall’altra Google DeepMind, che necessita di potenza bruta per addestrare i modelli del futuro, e infine i servizi storici come il motore di ricerca e la pubblicità, che garantiscono la stabilità finanziaria del gruppo.

Il comitato appena istituito vede la partecipazione di figure chiave come Thomas Kurian per il Cloud, Demis Hassabis per DeepMind e Anat Ashkenazy, la nuova responsabile finanziaria. La loro missione è superare i ritardi decisionali causati dai conflitti di interesse tra le varie unità produttive. Quando il consenso non viene raggiunto, la parola finale spetta direttamente al CEO Sundar Pichai. Questo processo di allocazione strategica deve tenere conto di variabili estremamente volatili, come il lancio di nuovi prodotti della concorrenza o le improvvise necessità dei grandi clienti cloud, fattori che possono rendere obsoleta una pianificazione nel giro di poche settimane.

Parallelamente alle decisioni dei vertici, si muove la complessa macchina tecnologica di Google, che cerca di mitigare la carenza di risorse attraverso l’efficienza. Lo sviluppo interno dei chip TPU e l’ottimizzazione dei modelli linguistici permettono di ottenere prestazioni più elevate consumando meno energia e cicli di calcolo. Tuttavia, la pressione rimane altissima. All’interno di DeepMind, i ricercatori hanno persino adottato strategie informali di scambio di potenza di calcolo tra i vari team, una sorta di “mercato grigio” interno per assicurarsi che i progetti più promettenti non subiscano rallentamenti a causa dei colli di bottiglia infrastrutturali.

Le previsioni indicano che questo clima di tensione tra domanda e offerta non si esaurirà a breve, ma accompagnerà Google almeno fino al 2026. Entro quella data, l’azienda punta a destinare circa la metà della sua capacità totale al settore Cloud, ma l’equilibrio rimane precario. La creazione di questo consiglio ristretto riflette dunque una nuova fase dell’era dell’intelligenza artificiale, dove il successo non dipende più soltanto dall’ingegno dei ricercatori, ma dalla capacità diplomatica e logistica di gestire le macchine che permettono a quelle idee di prendere vita.

Di Fantasy