Nelle aziende di fascia media c’è sempre un filo di rassegnazione: le soluzioni pensate per le piccole imprese sono troppo semplici, quelle enterprise troppo costose e invasive, e intanto il lavoro quotidiano si trascina tra applicazioni che non si parlano e fogli di calcolo che fanno da colla.
Intuit ha deciso di lavorare esattamente in questo spazio, costruendo una piattaforma – GenOS – che sembra un direttore d’orchestra invisibile: conosce le entità economiche fondamentali, dalle fatture ai progetti, capisce come sono immagazzinate nei vari sistemi, e instrada le richieste verso il modello linguistico più adatto, tra una decina a disposizione, in base al tipo di compito da svolgere.
Non si limita a collegare un LLM a un database: costruisce un livello di cognizione dei dati che riconosce pattern, tiene memoria dei legami, risponde con consapevolezza del contesto.
Il risultato è una costellazione di agenti specializzati: quello finanziario, che promette tra le diciassette e le venti ore di lavoro risparmiate al mese, prende i numeri sparsi e li ricompone in report coerenti, segnala varianze, prepara previsioni; quello dei pagamenti gestisce e riconcilia transazioni, quello contabile categorizza spese e cura il libro mastro, quello per i progetti incrocia budget e avanzamento per far emergere gli scostamenti prima che diventino voragini.
Tutto questo senza chiedere all’azienda una rivoluzione copernicana: niente migrazioni traumatiche, niente consolidamenti forzati, solo un tessuto intelligente che si innesta sull’esistente. A garantire che il sistema non diventi una black box incontrollabile ci sono interfacce che spiegano il perché delle decisioni, log accurati, politiche di accesso capillari che mascherano i dati sensibili a chi non deve vederli.
È un modello che suggerisce una via di mezzo virtuosa: non sostituire l’umano, ma liberarlo dalla palude dei compiti ripetitivi, offrendogli un alleato che conosce la complessità del suo ecosistema software e la maneggia con cura.