Una delle tendenze più dinamiche e complesse riguarda l’evoluzione di sistemi agentici capaci di operare autonomamente o orchestrare più moduli intelligenti per portare a termine compiti articolati. Questi sistemi, spesso basati su grandi modelli linguistici e integrati con strumenti esterni per percepire, pianificare e agire, stanno rapidamente diventando centrali nelle applicazioni avanzate di AI, tanto nell’ambito consumer quanto in quello enterprise. Tuttavia, proprio per la loro natura modulare e distribuita, il panorama degli strumenti e dei metodi per costruirli è diventato estremamente vasto e frammentato, generando confusione tra sviluppatori e team tecnici su come orientarsi.
L’esplosione di strumenti, librerie, modelli e approcci legati all’intelligenza artificiale agentica ha creato una ricca ma difficile da navigare “mappa” tecnologica. Per chi deve scegliere dove investire risorse, quali tool adottare e come bilanciare costi e benefici, non è più sufficiente comprendere solo quale modello di linguaggio usare o quale plugin integrare. Serve una visione complessiva che tenga conto di come i componenti interagiscono tra loro, quali strategie di adattamento e addestramento degli agenti siano più adatte a specifici scenari e quali compromessi si è disposti ad accettare tra costi, flessibilità e scalabilità. Secondo il framework delineato nello studio citato, l’obiettivo è proprio fornire una guida strutturata che distingue tra le principali strategie di costruzione di sistemi agentici e offre indicazioni pratiche su quando e come adottarle.
Al cuore di questa proposta c’è una distinzione fondamentale tra ciò che potremmo definire due macro-approcci alla creazione di agenti intelligenti. Da una parte c’è l’adattamento dell’agente, che implica modificare, addestrare o affinare il modello principale in base ai compiti da svolgere. Questo può avvenire attraverso tecniche come il fine-tuning o l’apprendimento basato su rinforzo, che consentono all’agente di acquisire competenze specifiche, ma spesso a costi computazionali significativi. Dall’altra parte c’è l’adattamento degli strumenti, ovvero l’ottimizzazione dell’ecosistema che circonda l’agente senza alterare il suo nucleo: si lavora sui moduli di ricerca, sui modelli di memoria, sulle interfacce di connessione ai dati e altri strumenti ausiliari, lasciando il modello centrale “fisso” e sfruttandolo come un motore di ragionamento generico. Questo secondo percorso può portare a soluzioni più modulari, efficienti e meno costose da mantenere, perché gli aggiornamenti riguardano componenti specifici dell’ecosistema piuttosto che l’agente stesso.
Il framework approfondisce queste dinamiche spiegando come diverse strategie si allineano a esigenze particolari. Per esempio, l’approccio in cui l’agente apprende attraverso l’esecuzione di strumenti specifici — come un compilatore che misura se il codice generato è corretto o meno — può essere potente per compiti tecnici ben delimitati, ma potrebbe non essere necessario, o addirittura eccessivo, per applicazioni più generali dove un agente già competente può semplicemente usufruire di tool pre-addestrati. Al contrario, strategie che mantengono il modello principale inalterato ma potenziano la qualità dei moduli di supporto possono offrire performance comparabili con un investimento molto più contenuto.
Nel contesto enterprise, dove la gestione di grosse quantità di dati, la compliance, la governance e la sicurezza sono aspetti critici, questa distinzione diventa ancora più rilevante. La scelta tra personalizzare l’agente o potenziare l’ecosistema di strumenti può tradursi in differenze sostanziali in termini di costi di addestramento, tempo di sviluppo, capacità di adattarsi a nuovi domini e facilità di manutenzione. Il framework, così, non si limita a classificare tecniche: mette il problema su un piano architetturale, invitando team tecnici e decisori a considerare l’intelligenza artificiale agentica come un progetto di integrazione e orchestrazione, non solo una questione di scelta del modello.
Questa classificazione si avvicina a un paradigma più maturo di sviluppo software, dove gli agenti non sono più visti come entità isolate, ma come nodi intelligenti in un ecosistema più ampio, ciascuno con funzioni e responsabilità specifiche. In pratica, costruire un sistema agentico diventa simile a progettare un’architettura distribuita, in cui si bilanciano componenti generici e specialistici, servizi autonomi e strumenti cooperativi. Tale visione permette di affrontare meglio problemi come la scalabilità dei carichi di lavoro, l’ottimizzazione dei costi e la capacità di evolvere nel tempo senza dover riscrivere interamente i modelli di base ogni volta che cambia un requisito di business.
