Il contenzioso legale tra OpenAI e il New York Times (NYT), incentrato sull’accusa di violazione di copyright, ha raggiunto un nuovo livello di intensità, spostando il focus dal diritto d’autore alla privacy degli utenti. OpenAI ha impugnato con forza un’ordinanza del tribunale che imponeva la riproduzione di milioni di conversazioni degli utenti dalla sua piattaforma ChatGPT, sostenendo che tale richiesta rappresenti una violazione inaccettabile della riservatezza e della sicurezza. L’azienda ha presentato un’istanza per annullare l’ordine, combattendo pubblicamente per proteggere le informazioni personali dei suoi utilizzatori.

OpenAI ha richiesto a un tribunale federale di New York di annullare l’ordine che la obbligava a inviare circa 20 milioni di conversazioni degli utenti di ChatGPT, ritenute rilevanti per la causa del NYT. In un documento depositato in tribunale, la società ha innalzato l’allarme, argomentando che l’ordinanza “crea un precedente pericoloso che consegnerebbe le conversazioni private degli utenti di ChatGPT in tutto il mondo a terze parti”, compromettendo seriamente la loro privacy e sicurezza.

OpenAI ha cercato di ridimensionare la rilevanza dei dati richiesti dal Times, sottolineando che il contenuto specifico relativo alla causa costituisce meno dello 0,01% delle conversazioni totali. La stragrande maggioranza dei registri, ha continuato l’azienda, è composta da “conversazioni personali e private che non hanno nulla a che fare con nulla” e che l’ampiezza della richiesta equivale a un’indagine esplorativa eccessiva e irragionevole. L’azienda ha espresso preoccupazione per tutti coloro che hanno utilizzato ChatGPT negli ultimi tre anni, paventando che le loro interazioni private possano essere utilizzate per questa ricerca indiscriminata da parte del New York Times.

Nonostante le obiezioni, il giudice distrettuale statunitense Ona Wang del distretto meridionale di New York aveva precedentemente ordinato a OpenAI di produrre trascrizioni anonime delle conversazioni, accogliendo l’argomentazione del Times sulla necessità di conservare le prove per evitare la loro distruzione. Il giudice Wang aveva stabilito che la privacy degli utenti poteva essere adeguatamente tutelata se OpenAI avesse adottato misure di de-identificazione appropriate, fissando una scadenza imminente per la consegna dei registri.

La disputa si è rapidamente spostata nel dominio pubblico, con Dane Stuckey, responsabile della sicurezza informatica di OpenAI, che ha utilizzato un post sul blog per descrivere dettagliatamente lo stato della causa, dichiarando apertamente: “Combatteremo contro la violazione della privacy degli utenti da parte del New York Times”.

La risposta del NYT non si è fatta attendere, con un portavoce che ha accusato OpenAI di “ingannare gli utenti”. Il giornale ha sostenuto che il tribunale ha richiesto solo un piccolo campione di conversazioni e che, essendo anonime e protette da un ordine di protezione, la privacy di nessun utente sarebbe stata violata. Il New York Times ha insistito sul fatto che OpenAI starebbe semplicemente evitando di affrontare la questione principale della causa, tentando di manipolare la narrativa della privacy per sottrarsi ai propri obblighi legali. La battaglia per i log delle conversazioni di ChatGPT è dunque diventata un banco di prova fondamentale su come la privacy degli utenti sarà definita e protetta nell’era delle piattaforme di IA conversazionale.

Di Fantasy