In un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale generativa, la domanda “il prompt engineering sta diventando obsoleto?” risuona sempre più spesso. Questa abilità, un tempo considerata una skill di nicchia ma cruciale, ora sembra trovarsi all’incrocio tra un passato recente e un futuro già in divenire.

All’inizio, con i modelli come GPT‑3, il prompt engineering era un’arte: bastava calibrare le parole, aggiungere contesto, cadenze e dettagli per ottenere risposte in grado di sorprendere — codici più accurati, testi più coerenti, immagini più evocative. Era l’equivalente moderno del vibra‑coding, un linguaggio invisibile ma potentissimo tra sviluppatori esperti.

Oggi, però, il panorama sta cambiando. Il prompt engineering appare come un ponte — da un lato, l’attuale capacità dei modelli generativi, basata sulla manipolazione attenta della formulazione; dall’altro, un domani in cui interagire con le AI non richiederà più istruzioni elaborate, bensì conversazioni intuitive, persino conversazioni “naturali”. In altre parole, il prompt engineering funge oggi da facilitazione temporanea, destinata a trasformarsi o essere assorbita da nuovi paradigmi di interazione.

I segnali di questo cambiamento sono evidenti su più fronti. Secondo alcune fonti autorevoli, la popolarità di ruoli specifici come “prompt engineer” sta tracciando una parabola discendente. Ciò non significa che le capacità siano cadute nel vuoto, ma che il riconoscimento in forma di professione autonoma sta svanendo.

Non mancano visioni più radicali: alcuni parlano esplicitamente della morte del prompt engineering come concetto isolato, ormai inglobato in processi più ampi. È una metafora calzante: come la scrittura a mano, che non scompare ma cede il passo alla digitazione, così questa skill si trasforma — ancora utile, ma meno visibile.

Eppure non è tuttavia tramontata del tutto. In certi contesti, prompt engineering resta un’abilità strategica, evoluta e necessaria. In contesti aziendali, governativi o accademici, formulare prompt con pensiero riflessivo, imparziale e consapevole può fare la differenza: stimolare risposte etiche, accurate e trasparenti diventa un vero esercizio di responsabilità. Questa declinazione più matura del prompt engineering, chiamata talvolta “prompt engineering responsabile”, fa parte della progettazione dell’interazione con l’IA più avanzata.

Nel contesto tecnico, studi recenti confermano che i modelli più evoluti che integrano capacità di ragionamento interno tendono a essere meno dipendenti da prompt sofisticati: a volte risposte zero-shot (non guidate da prompt elaborati) possono risultare più efficaci. Ciò non significa che le abilità cessino di esistere, ma che cambiano forma e peso in base alla maturità del modello.

E ancora, in ambito scientifico, si sottolinea che il valore del prompt engineering non si limita al miglioramento dei risultati: può contribuire a ridurre il consumo energetico dei modelli in fase di inferenza, semplicemente attraverso tecniche mirate e parsimoniose nel formulare i prompt. Un segnale, questo, che le competenze del prompt engineering possono avere un impatto concreto anche sull’ecosostenibilità tecnologica.

Il prompt engineering non è (ancora) morta, ma è certamente in evoluzione. Non è più la bolla di formazione rapida e ricca di hype che era un tempo, ma una capacità che si sta trasformando — in raffinatezza tecnica, in riflessione etica, in efficienza operativa. Diventa sempre più parte del bagaglio di competenze diffuse, integrata dentro processi e prodotti, anziché riconosciuta come una professione a sé.

Chi lo sa usare oggi, non sta inseguendo un trend: sta partecipando a una transizione. Un domani sempre più conversazionale, assistito e automatizzato. E chissà che, in quella nuova era dell’AI, il vero valore non sia più nella perfezione del prompt, ma nella qualità del dialogo.

Di Fantasy