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C’è un piccolo gesto che ormai compiamo in modo quasi automatico, con un tocco sullo schermo o un click: partecipare a un sondaggio online. Che si tratti di ricerche accademiche, studi psicologici o test comportamentali, queste piattaforme raccolgono informazioni preziose per capire come pensiamo, reagiamo, o semplicemente viviamo.

Tuttavia, uno studio recente portato avanti dal Max Planck Institute di Berlino ha acceso un faro su un fenomeno inquietante: il 45 % dei partecipanti ai sondaggi online risponde utilizzando strumenti basati su intelligenza artificiale, come chatbot capaci di generare risposte fluenti e articolate, ma prive di autenticità umana. Questo allarme, illustrato da Tom’s Hardware, pone seri dubbi sull’affidabilità stessa della ricerca online.

Tutto parte da un’intuizione: risposte troppo perfette, fraseggiate in modo elegante, talmente fluide da apparire sospette. Il team guidato da Anne‑Marie Nussberger, coordinatrice dello studio, ha osservato risposte che sembravano pensate più dagli algoritmi che da esseri umani, soprattutto nelle piattaforme come Prolific, dove poche righe bastano a ottenere un piccolo compenso.

La scoperta ha dei numeri che lasciano senza fiato: quasi la metà delle interviste includeva contributi copiati e incollati, un chiaro indizio di bot o chatbot all’opera per massimizzare il guadagno con il minimo sforzo umano.

Reagire a questo fenomeno richiede molta creatività. I ricercatori non si sono limitati alla semplice analisi dei contenuti, ma hanno inscenato contromisure ingegnose. Per esempio, hanno inserito testi invisibili (non visibili all’occhio umano ma leggibili da un bot), chiedendo ai partecipanti di includere una parola specifica come “nocciola” nella risposta: gli umani la ignorano, i bot la includono, smascherando così la falsificazione.

Altri stratagemmi? Il divieto di copia-incolla all’interno dei campi di risposta (che ha rivelato un ulteriore 4,7% di risposte sospette) e l’impiego di versioni avanzate di reCAPTCHA (che hanno rilevato fino al 2,7% dei casi problematici). A riguardo, Nussberger sottolinea che “non dobbiamo smettere di fidarci della ricerca online, ma reagire con strumenti adeguati”: è questa la posta in gioco.

La minaccia non è solo statistica, è culturale, metodologica. Come ha avvertito Matt Hodgkinson, esperto indipendente in etica della ricerca, l’arrivo dell’IA nel contesto dei sondaggi online peggiora una situazione già precaria: prima c’erano bot, identità false e risposte inattendibili; ora si aggiunge l’inganno sofisticato dei chatbot.

La strada indicata è chiara: serve innovazione dei metodi di raccolta dati, misure preventive mirate e, laddove necessario, un ritorno a metodi tradizionali come le interviste faccia a faccia.

Questa vicenda ci richiama a una riflessione più ampia: viviamo in un’epoca in cui la tecnologia può ingannare, ma anche aiutare. La ricerca scientifica, in campo sociale o psicologico, si fonda sull’autenticità del dato umano; senza di essa, il rischio è di costruire interi universi su bolle vuote.

L’uso improprio dell’IA nei sondaggi online non colpisce solo un settore specifico: minaccia le fondamenta stesse della fiducia nella scienza, dell’onestà intellettuale, dell’interpretazione genuina del comportamento umano.

Non c’è una bacchetta magica, ma c’è responsabilità: da parte dei ricercatori, dei committenti, delle piattaforme che erogano i sondaggi. Solo investendo in trasparenza, controllo e consapevolezza, potremo preservare il valore dei nostri studi, rendendo credibile ciò che oggi, troppo spesso, potrebbe essere solo artificiale.

Di Fantasy