Quando un’azienda decide di entrare nella corsa all’intelligenza artificiale, non è soltanto una questione di modelli, algoritmi e reti neurali: è anche una questione di velocità, di ambiente di sviluppo, di cicli iterative rapidi. Ed è proprio questo aspetto che sta spingendo Meta a cambiare rotta. Secondo documenti interni ottenuti da Business Insider, il suo Superintelligence Lab (MSL), guidato dal gruppo Product and Applied Research (PAR) sotto la leadership dell’ex CEO di GitHub Nat Friedman, ha iniziato ad adottare strumenti esterni — come Vercel — per sopperire alle rigidità e lentezze dell’infrastruttura interna.
La ragione di fondo è emersa con chiarezza: il sistema interno di Meta è stato concepito per supportare comunità enormi, miliardi di utenti e team di ingegneri su scala massiva. Ma questa “grande scala” comporta anche rigidità, lentezze nelle modifiche e una scarsa adattabilità alle esigenze di team piccoli, agili e in rapida evoluzione. In un memo interno di fine settembre si afferma che il vecchio sistema “non è adatto a team di intelligenza artificiale piccoli e in rapida evoluzione”.
L’adozione di Vercel, in questo contesto, non è un capriccio esterno: è una scorciatoia, un “ponte temporaneo” che consente ai team di evitare le lentezze del ciclo di deploy interno. Già, perché uno dei problemi segnalati è che ogni modifica, ogni aggiornamento interno, impiega ore a essere riflessa — un ritardo inaccettabile quando si lavora su prototipi di IA, dove invece l’iterazione rapida è essenziale. Con Vercel e GitHub, alcune squadre di PAR hanno cominciato a ridurre i tempi da decine di minuti o ore a pochi minuti, accelerando prototipazione e sperimentazione.
Parallelamente a questa strategia ibrida, Meta sta costruendo un proprio nuovo ambiente interno chiamato Nest. L’idea è che, alla lunga, Nest possa diventare il sistema nativo per ospitare applicazioni TypeScript, ottimizzato per sperimentazione rapida, integrazione con i dati Meta e agilità. Fino ad allora, Vercel fungerà da “cuscinetto” per coprire le lacune prestazionali dell’infrastruttura interna.
Una delle memorie interne più interessanti — della dottoressa Aparna Ramani, a capo delle infrastrutture di MSL — rivela la tensione forte: “prevediamo di ridurre il tempo necessario per implementare le modifiche da ore a meno di due minuti” con il nuovo sistema. Questo obiettivo descrive un’aspirazione radicale: trasformare il flusso di lavoro da qualcosa di lento e burocratico a qualcosa di istantaneo e fluido.
È importante cogliere che questo passaggio non è solo tecnico, ma anche culturale. Richiede che i team abbandonino dipendenze consolidate, standard e pratiche interne, e che si aprano all’uso di strumenti esterni nei tanti casi in cui il sistema “proprietario” non regge il passo. Meta ha già almeno dieci progetti in corso che utilizzano Vercel + GitHub, adesso operativi con un ciclo di deploy rapido, un chiaro segnale che non si tratta di esperimenti isolati.
Questa strategia di “prendere in prestito” agilità da strumenti esterni si è estesa anche ad altri ambiti oltre lo sviluppo software. Secondo sempre fonti interne, Meta ha adottato Claude (il modello di AI rivale sviluppato da Anthropic) per un assistente interno di programmazione chiamato Devmate, quando le soluzioni proprie non erano all’altezza di compiti complessi. Parallelamente, la funzione di generazione di immagini “Vibes” utilizza tecnologie esterne (Midjourney, Black Forest Labs) al posto del sistema proprietario. Queste scelte indicano che finché MSL non raggiungerà un livello prestazionale di punta, Meta non esiterà a sfruttare risorse esterne per colmare i gap.
Dietro a tutto questo c’è una pressione interna palpabile: in un ambiente dove Mark Zuckerberg ha puntato molto sull’IA come elemento cruciale del futuro dell’azienda, non è tollerata la lentezza. Il tempo di attesa, il costo dell’inefficienza, il rischio di restare indietro rispetto a concorrenti come OpenAI o Google sono giudicati troppo alti. Questo spinge ad accettare compromessi che, fino a poco tempo fa, sarebbero stati impensabili: usare tecnologie “esterne” in un’azienda che per decenni ha fatto affidamento su strumenti interni e su una cultura del controllo centralizzato.