Perplexity ha appena compiuto un passo audace: ha lanciato una API di ricerca completa che consente agli sviluppatori di “leggere” direttamente lo stesso gigantesco indice web che alimenta il motore di ricerca pubblico dell’azienda. In altre parole: non più dipendenza da API limitate di Google o Microsoft, ma accesso diretto, in tempo reale, a centinaia di miliardi di pagine web.
L’annuncio è recente e rappresenta un tentativo di trasformare Perplexity da semplice “servizio di risposta” in infrastruttura: chi costruisce applicazioni AI ora può integrare risultati web freschi e strutturati con facilità.
Il fulcro di questa innovazione è la capacità di gestire aggiornamenti dell’indice a velocità molto elevate. Perplexity dichiara di elaborare decine di migliaia di richieste di aggiornamento ogni secondo, in modo che nuovi contenuti possano diventare ricercabili in pochi secondi anziché ore o giorni.
Un’altra peculiarità è chiamata “precisione a livello di sottodocumento” (sub-document precision): anziché considerare solo l’intera pagina come unità, l’API identifica e restituisce passaggi specifici — paragrafi, sezioni — che rispondono alla query. Questo è importante per modelli AI che hanno bisogno non solo di documenti pertinenti, ma di estratti focalizzati, già “pre-masticati” per essere utilizzati nelle risposte.
Per completare il quadro, l’API combina ricerca per parole chiave con accessi semantici: può gestire query conversazionali complesse, dove il contesto è importante, e restituisce risposte strutturate con attribuzioni alle fonti (ossia con riferimenti all’origine del dato), adatte per applicazioni che vogliano garantire trasparenza e tracciabilità.
Da tempo, l’accesso agli indici di ricerca è stato un punto di controllo per i grandi motori — Google e Microsoft (tramite Bing) hanno spesso posto restrizioni alle API per sviluppatori, privilegiando l’interesse commerciale e limitando l’accesso massivo ai dati grezzi. Perplexity contesta esplicitamente questo modello, affermando che “i motori tradizionali hanno subordinato gli sviluppatori ai propri interessi acquisiti”.
Con la Search API, Perplexity mette in campo un’offerta nuova: lo stesso indice utilizzato internamente, con aggiornamenti in tempo reale e servizi ottimizzati per l’integrazione con AI esterne. Non è solo “fare ricerca dentro l’AI”: è offrire l’infrastruttura che sta dietro l’AI.
Questo passo è visto da molti come la sfida maggiore, finora, all’egemonia di Google nella fornitura di servizi di ricerca per sviluppatori.
Per facilitare l’adozione, Perplexity ha accompagnato il rilascio dell’API con una console, una documentazione completa, e strumenti pensati per misurare e valutare le prestazioni: tra questi c’è search_evals, un framework open source che permette agli sviluppatori di “pre-testare” come l’API risponde alle loro esigenze.
Inoltre, l’API Sonar — uno dei motori interni di Perplexity — è messa a disposizione per generare risposte accurate da fonti attendibili, integrando informazioni in tempo reale. Questo garantisce che le applicazioni costruite sopra la Search API possano fornire risposte aggiornate e con tracciamento delle fonti.
Per gli sviluppatori che costruiscono agenti, chatbot, assistenti virtuali o applicazioni intelligenti, l’accesso a un indice web fresco, strutturato e ben citato è una risorsa enorme. Non dover dipendere da limitazioni API esterne (che spesso impongono costi, limiti, latenza o vincoli di formato) apre la strada a scenari più evoluti, dove l’AI può “incorporare il mondo in tempo reale”.
Ma ci sono margini di criticità e sfide che non vanno trascurate. Il primo riguarda il costo e il modello di monetizzazione: Perplexity, a differenza dei modelli dipendenti dalla pubblicità come Google, dichiara che l’API sarà a pagamento per gli sviluppatori.
Un altro riguarda questioni legate al copyright e alle pratiche di raccolta dati: l’accesso esteso a indici web può sollevare conflitti con editori e detentori di contenuti, soprattutto se i contenuti sono protetti o non liberamente indicizzabili. (Perplexity stesso, in passato, è stata soggetta a contestazioni riguardo all’uso di contenuti di riviste come il New York Times).
Infine, l’efficacia effettiva dipenderà da come gli sviluppatori sapranno integrare i risultati: un’API potente non risolve automaticamente i problemi di allineamento, contestualizzazione o filtraggio del “rumore informativo”.
Già oggi il lancio dell’API mostra che Perplexity vuole giocare su più tavoli: essere non solo motore che risponde alle query degli utenti, ma piattaforma su cui le app AI costruiscono capacità e affidabilità.
Se l’adozione decollerà, potremmo assistere a una diversificazione degli “stack AI”: alcune applicazioni useranno l’API di Perplexity per il “motore di verità”, altre continueranno con modelli “chiusi” o modelli localizzati. Man mano che emergono regolamentazioni, pratiche di licenza, accordi con editori e algoritmi di citazione, vedremo se Perplexity riuscirà a consolidarsi come un’alternativa stabile e sostenibile.