Nella città di Taranto si è aperto un nuovo capitolo della tecnologia: un robot chiamato RoBro ha fatto il suo debutto, portando con sé un intreccio di robotica, intelligenza artificiale (IA) e applicazioni pratiche che vanno al di là della mera dimostrazione tecnica. L’evento non è solo un lancio locale, ma un segnale di come la tecnologia stia entrando nelle comunità, nelle scuole e nelle città non soltanto come promessa, ma come realtà tangibile e prossima.
RoBro non è solamente un robot dalle luci e dai movimenti smart: è pensato come macchina dotata di sistemi di IA capaci di interazione, apprendimento, adattamento. In un contesto come quello tarantino, che è stato spesso raccontato come città di frontiera tra industria, porto, ambiente e innovazione, l’arrivo di una macchina così “viva” rende evidente che la tecnologia non è più confinata ai laboratori o alle aziende del nord, ma può avere radici e impatti concreti anche al Sud, in territori che ambiscono a crescere sul piano della conoscenza e dell’innovazione.
Quando si osserva RoBro nelle sue funzioni — dialogo, percezione, forse supporto educativo o assistenziale — emerge una riflessione più ampia: quella del rapporto tra uomo e macchina, tra comunità e tecnologia, tra aspirazione e concretezza. Il debutto di questo robot in città suggerisce che la IA, lungi dall’essere solo un tema astratto o futuribile, sta entrando nelle pieghe delle attività quotidiane: in ambito scolastico, sociale, urbano. L’effetto è duplice. Da un lato c’è la promessa: un aiuto, una presenza tecnologica che può supportare le persone-studenti, la didattica, i processi innovativi. Dall’altro, ci sono le domande: come sarà gestita questa presenza? Quali dati raccoglie? Che tipo di impatto avrà sulla comunità? Come si inserisce nel tessuto locale, nelle scuole, nei luoghi pubblici?
Taranto, città che ha conosciuto fasi di riqualificazione e di sfida, può vedere in RoBro un simbolo ma deve tradurlo in opportunità. La presenza del robot può stimolare nuove forme di apprendimento STEM nelle scuole, può rendere più visibile l’idea che la tecnologia non sia solo periferia ma centro, non solo importazione ma produzione locale. Ma per fare questo occorre che la componente umana — studenti, insegnanti, cittadini — sia attiva, consapevole, parte del processo. Il robot serve, ma serve soprattutto chi lo utilizza, lo cura, lo interpreta.
