Il clima delle relazioni commerciali tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sta surriscaldando drasticamente, aprendo un nuovo fronte di scontro che questa volta mette al centro la regolamentazione del mercato digitale. L’amministrazione Trump ha lanciato un avvertimento formale a Bruxelles, sostenendo che le recenti normative, tasse e sanzioni imposte dall’Europa rappresentino una forma di discriminazione sistematica e molesta nei confronti delle aziende tecnologiche americane. Secondo la posizione espressa dall’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR), l’Europa starebbe utilizzando strumenti legali e multe miliardarie per soffocare la competitività dei giganti della Silicon Valley, un atteggiamento che Washington non sembra più disposta a tollerare senza reagire.
La tensione è alimentata da una serie di pesanti sanzioni che le autorità di regolamentazione dell’Unione Europea hanno inflitto recentemente a grandi nomi del panorama tecnologico statunitense. Tra i casi più eclatanti spiccano la multa da 120 milioni di euro comminata alla piattaforma X di Elon Musk e la colossale sanzione da quasi tre miliardi di euro imposta a Google. Dal punto di vista americano, queste misure non sono percepite come neutrali azioni di tutela del mercato, ma come attacchi mirati volti a colpire la supremazia economica degli Stati Uniti nel settore dei servizi digitali. Per controbilanciare questa pressione, il governo statunitense ha iniziato a evocare la possibilità di utilizzare tutti i mezzi a propria disposizione, inclusa l’imposizione di tariffe doganali o restrizioni normative speculari che colpirebbero le aziende europee operanti sul suolo americano.
L’USTR ha sollevato un punto di contrasto mettendo in evidenza come molte grandi realtà europee, tra cui colossi della logistica, dell’ingegneria e dello streaming come DHL, Siemens e Spotify, possano operare liberamente e senza particolari ostacoli nel mercato statunitense. La minaccia di Washington è quella di porre fine a questa libertà di manovra se l’Unione Europea non allenterà la pressione sulle Big Tech. Nel mirino delle potenziali ritorsioni americane potrebbero finire importanti società di servizi e software del Vecchio Continente, come SAP, Mistral, Capgemini e Amadeus, che vedrebbero limitata la loro operatività negli Stati Uniti attraverso nuovi dazi o restrizioni sui servizi.
Dall’altra parte dell’Oceano, la Commissione Europea ha respinto con fermezza ogni accusa di parzialità. I portavoce di Bruxelles hanno ribadito che le norme europee sulla concorrenza e sul mercato digitale sono applicate in modo equo a tutte le aziende, indipendentemente dalla loro nazionalità, con l’unico obiettivo di garantire un ambiente sicuro, competitivo e trasparente per i cittadini. Secondo la visione europea, l’applicazione delle sanzioni è un atto necessario per far rispettare le leggi locali e non un atto di ostilità politica. Nonostante questa difesa, gli Stati Uniti hanno già iniziato a legare questioni commerciali apparentemente distanti, come la riduzione dei dazi sull’acciaio, all’allentamento delle restrizioni digitali, utilizzando ogni canale diplomatico per esercitare pressione.
Questa escalation segnala l’inizio di una fase di incertezza per le aziende globali, che rischiano di trovarsi tra due fuochi in una guerra commerciale di nuova generazione. Se da un lato l’Europa non intende rinunciare alla propria sovranità normativa in materia di privacy e concorrenza, dall’altro gli Stati Uniti sembrano decisi a proteggere i propri campioni tecnologici con una politica di ritorsione diretta. Il futuro dei rapporti transatlantici dipenderà ora dalla capacità delle due potenze di trovare un compromesso tra la tutela dei consumatori invocata da Bruxelles e la libertà di mercato difesa da Washington, prima che le minacce verbali si trasformino in barriere economiche concrete.
