Nel 2025, la frase “coding is dead” ha attraversato la comunità tecnologica come un’eco continua, un modo per riassumere l’idea che l’intelligenza artificiale stava riscrivendo le regole della programmazione tradizionale. In un articolo pubblicato su Analytics India Magazine, si esplora proprio questo fenomeno: non tanto come una realtà compiuta, bensì come un insieme di dichiarazioni, pronostici e previsioni dei leader di settore che hanno dominato i titoli del 2025, andando a delineare un anno in cui la morte del coding è diventata un’ossessione mediatica e culturale all’interno della Silicon Valley e oltre.

L’articolo racconta un anno in cui fondatori di startup, amministratori delegati di grandi aziende tech e ricercatori nel campo dell’IA si sono succeduti nell’annunciare che le righe di codice scritte a mano sarebbero presto diventate un ricordo del passato. All’inizio dell’anno, il CEO di Meta, Mark Zuckerberg, ha dichiarato durante una intervista che l’intelligenza artificiale avrebbe potuto sostituire gli ingegneri di medio livello, trasformando il ruolo dello sviluppatore in qualcosa di profondamente diverso rispetto a quanto visto fino ad allora. Questa affermazione ha innescato un’ondata di speculazioni sul futuro della professione, gettando molti nel dubbio e nell’ansia.

Le dichiarazioni non si sono fermate con Zuckerberg. Dario Amodei di Anthropic ha fornito una scadenza molto più netta, affermando che entro pochi mesi l’IA avrebbe potuto generare la maggior parte del codice necessario all’interno delle aziende tecnologiche, arrivando potenzialmente a scrivere quasi tutto il software. Anche se tali previsioni non si sono avverate nella realtà, l’eco di queste affermazioni ha contribuito a definire il tono del dibattito sull’automazione del coding.

Nel frattempo, altri leader come Marc Benioff di Salesforce hanno messo in discussione la necessità di nuove assunzioni di ingegneri software nel corso dell’anno, citando l’aumento della produttività grazie agli strumenti di IA. Sam Altman di OpenAI ha alzato ulteriormente la posta affermando che un sistema di intelligenza artificiale sarebbe potuto diventare il miglior programmatore al mondo entro la fine del 2025. Anche il CEO di Google, Sundar Pichai, ha contribuito a questa narrativa indicando percentuali sempre crescenti di codice “AI-generated” nei progetti interni della sua azienda.

Non sono mancate le affermazioni più radicali. Jensen Huang di NVIDIA ha descritto l’emergere di una nuova “linguaggio di programmazione” che – secondo lui – sarebbe stato l’inglese naturale, dunque un linguaggio umano, riflettendo l’idea che la descrizione dell’intento sarebbe diventata più importante della scrittura di istruzioni rigide in linguaggi formali. Anche figure storiche come Bill Gates hanno contribuito al coro, sostenendo che gli esseri umani sarebbero diventati “non necessari per la maggior parte delle cose”, citando lo sviluppo dell’IA come motivo centrale.

Eppure, malgrado tutte queste dichiarazioni di “morte del coding”, la realtà è risultata ben diversa da quella predetta. Il 2025 non ha visto svanire gli ingegneri software come una categoria professionale; al contrario, è apparso chiaro che le squadre tecnologiche continuano ad aver bisogno di persone in grado di comprendere sistemi complessi, decisioni di design, compromessi tecnici e modalità di fallimento, aspetti che semplici strumenti generativi non possono sostituire completamente. La diagnosi più duratura del 2025 è stata quella delle parole stesse: ciò che è sopravvissuto non sono state le profezie di estinzione, bensì le citazioni che riflettono più un desiderio di innovazione che una realtà già consolidata.

In altre parole, la narrativa secondo cui “il coding è morto” ha rappresentato un affresco delle aspirazioni e delle paure della comunità tech: un misto di entusiasmo per gli strumenti di intelligenza artificiale, timore per l’impatto sul mercato del lavoro e curiosità per un futuro in cui la collaborazione tra essere umano e macchina diventa sempre più centrale. Le affermazioni clamorose hanno fatto notizia e acceso il dibattito, ma l’evoluzione concreta ha mostrato che la figura dello sviluppatore resta cruciale, anche in un panorama sempre più permeato da tecnologie AI.

Di Fantasy