Il percorso formativo tradizionale del giurista, storicamente basato sull’analisi dei testi normativi e sulla dottrina classica, sta vivendo una fase di profonda metamorfosi. Le università italiane hanno iniziato a comprendere che ignorare l’evoluzione tecnologica significherebbe formare professionisti già obsoleti per un mercato del lavoro che richiede sempre più dimestichezza con algoritmi e sistemi di automazione. In questo scenario, l’introduzione di corsi specifici e laboratori dedicati all’intelligenza artificiale rappresenta una risposta necessaria alle sfide poste dalla digitalizzazione del sistema giustizia.
Un aspetto centrale di questa innovazione riguarda il cosiddetto pensiero computazionale applicato al diritto. Non si tratta semplicemente di imparare a usare nuovi software, ma di acquisire una forma mentis capace di dialogare con la macchina. Il giurista moderno deve essere in grado di comprendere la logica che sottende al funzionamento di un algoritmo, poiché gran parte delle decisioni amministrative e delle attività di ricerca giurisprudenziale passeranno attraverso filtri tecnologici. La capacità di formulare istruzioni precise per le macchine, nota come “prompting”, diventa dunque una competenza trasversale fondamentale, paragonabile alla capacità di redigere un atto o un parere legale.
Tuttavia, l’ingresso dell’intelligenza artificiale nelle aule di giurisprudenza non è privo di interrogativi etici e deontologici. I docenti e gli esperti sottolineano l’importanza di mantenere l’umanità del diritto, evitando che la tecnologia diventi un decisore autonomo capace di sostituire il ragionamento critico del professionista. Il rischio che una “giustizia artificiale” possa produrre esiti standardizzati o privi di sfumature interpretative è uno dei temi caldi del dibattito accademico. Per questo motivo, la formazione attuale punta molto sulla consapevolezza dei limiti di questi strumenti, insegnando ai futuri avvocati e magistrati a verificare sempre l’output generato dall’intelligenza artificiale per prevenire errori o allucinazioni del sistema.
Inoltre, l’adeguamento dei programmi universitari si rende necessario anche alla luce delle nuove normative europee, come l’AI Act. Gli studenti sono chiamati a confrontarsi con un quadro regolatorio in continua evoluzione, dove la protezione dei dati personali e la trasparenza degli algoritmi giocano un ruolo cruciale. La didattica si sta quindi orientando verso un approccio multidisciplinare, dove il diritto si intreccia con l’informatica e l’etica, creando un profilo di “giurista tecnologico” capace di gestire la complessità dei nuovi sistemi senza perdere di vista i principi fondamentali dell’ordinamento.
L’apertura delle facoltà di giurisprudenza all’intelligenza artificiale segna l’inizio di una nuova era per le professioni legali. La sfida per le istituzioni accademiche resta quella di trovare il giusto equilibrio tra l’entusiasmo per l’innovazione e la tutela dei valori classici del diritto. Solo attraverso una formazione solida e critica sarà possibile sfruttare le potenzialità della tecnologia per rendere la giustizia più efficiente, senza mai rinunciare alla centralità della persona e del ragionamento umano nelle aule di tribunale.
