La crescente diffusione dell’intelligenza artificiale non sta trasformando soltanto processi produttivi e modi di lavorare, ma sta incidendo direttamente anche sul diritto del lavoro. Una recente sentenza del Tribunale di Roma ha infatti stabilito che è legittimo per un’azienda licenziare un dipendente quando le sue mansioni sono state sostituite da sistemi basati sull’IA, aprendo così un nuovo capitolo nel rapporto tra tecnologia e occupazione e sollevando questioni profonde sul futuro del lavoro.
La vicenda nasce da un contenzioso in cui un lavoratore, dopo essere stato licenziato, ha impugnato la decisione del datore di lavoro ritenendola illegittima. Secondo la giurisprudenza tradizionale, un licenziamento può essere considerato valido se fondato su giustificato motivo oggettivo, ovvero ragioni economiche o organizzative che richiedono la riduzione o la modifica di ruoli all’interno dell’azienda. Tuttavia, il nodo cruciale di questo caso è che la causa della riorganizzazione non è stata una crisi finanziaria generica o un calo di fatturato, ma l’introduzione di tecnologie di intelligenza artificiale che hanno soppiantato il lavoratore nelle sue funzioni.
Secondo i giudici, l’adozione di sistemi basati sull’IA può costituire una causa legittima di licenziamento quando è accompagnata da una situazione di difficoltà economica dell’azienda o da una riorganizzazione funzionale alla sua sopravvivenza. Nella sentenza n. 9135 del 19 novembre 2025, infatti, il Tribunale ha ritenuto che il lavoratore, impegnato in mansioni ormai assorbite dall’IA, potesse essere legittimamente licenziato se l’impresa dimostrava con chiarezza sia la crisi economica che l’impossibilità di riqualificare il dipendente in altre funzioni compatibili con le sue competenze.
Questa decisione riflette un orientamento giuridico che attribuisce al datore di lavoro una ampia discrezionalità nel gestire le risorse umane in funzione delle esigenze competitive e organizzative, incluse quelle derivanti dalla digitalizzazione dei processi. Secondo quanto osservato dai giudici, se l’introduzione dell’intelligenza artificiale è finalizzata a migliorare l’efficienza e la sostenibilità dell’azienda, e se non esistono alternative di ricollocazione interne per il lavoratore, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non solo è legittimo, ma rappresenta uno strumento previsto e disciplinato dalla legge stessa.
La realtà normativa italiana prevede che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia possibile in presenza di razionali economici o tecnici che impongono la riorganizzazione dell’organizzazione del lavoro, un principio che si applica anche quando tali ragioni sono connesse all’adozione di tecnologie moderne come l’intelligenza artificiale. In questo senso, l’innovazione tecnologica non rappresenta automaticamente un illecito giuridico, né un elemento che tuteli di per sé il lavoratore da eventuali conseguenze negative sul fronte occupazionale: ciò che conta, agli occhi della legge e dei giudici, è la documentazione dell’effettivo bisogno aziendale e la mancanza di alternative di impiego per il personale interessato.
Tuttavia, se per l’impresa la decisione giurisprudenziale rappresenta una conferma del diritto di investire in tecnologie come l’IA per restare competitiva, per i lavoratori è un segnale forte delle trasformazioni in atto nel mercato del lavoro. La sentenza evidenzia come l’intelligenza artificiale, pur offrendo opportunità di crescita e innovazione, possa anche accelerare la sostituzione di ruoli tradizionali, con conseguenze concrete sulla stabilità occupazionale. In questi casi, la legge richiede ancora oggi che il licenziamento sia basato non semplicemente sull’esistenza di una tecnologia più efficiente, ma su una serie di condizioni organizzative e imprenditoriali che giustifichino la riorganizzazione complessiva.
La decisione del Tribunale di Roma potrebbe fare scuola e aprire un dibattito più ampio sulle implicazioni sociali e giuridiche della diffusione dell’IA nei luoghi di lavoro. Mentre la tecnologia continua a evolversi, sono sempre più numerose le domande su come bilanciare il progresso con la tutela dei diritti dei lavoratori, su quali strumenti di formazione e riqualificazione debbano essere messi in campo per mitigare gli effetti occupazionali e su come il diritto del lavoro debba adattarsi a scenari nei quali algoritmi e automazione cambiano rapidamente le esigenze produttive.
