Nel mondo dell’intelligenza artificiale, poche figure godono di un’autorità paragonabile a quella di Yann LeCun, capo scienziato di Meta, e Demis Hassabis, co-fondatore e CEO di Google DeepMind. Recentemente, i due pionieri sono stati protagonisti di un vivace scontro intellettuale che ha riacceso i riflettori su una delle questioni più spinose della tecnologia moderna: cosa intendiamo davvero quando parliamo di intelligenza generale e se sia un obiettivo realmente raggiungibile per le macchine. Questo confronto, avvenuto pubblicamente su piattaforme social come X, non è solo una disputa accademica, ma riflette visioni filosofiche e ingegneristiche profondamente diverse sul futuro dell’umanità.
La posizione di Yann LeCun è provocatoria e scettica nei confronti della terminologia attuale. Secondo lo scienziato di Meta, il concetto stesso di intelligenza generale sarebbe quasi un’illusione, una sorta di costrutto privo di fondamento scientifico. LeCun argomenta che l’intelligenza umana è in realtà estremamente specializzata, essendo stata modellata da milioni di anni di evoluzione per risolvere problemi specifici legati alla sopravvivenza nel mondo fisico. La nostra percezione di essere dotati di una “genericità” cognitiva deriverebbe solo dalla nostra incapacità di vedere i limiti strutturali del nostro pensiero. Per LeCun, inseguire l’AGI (Artificial General Intelligence) come se fosse un traguardo universale è un errore di prospettiva: le macchine, proprio come gli umani e gli animali, avranno sempre intelligenze legate a domini o modelli del mondo specifici.
Dall’altra parte della barricata, Demis Hassabis difende con vigore la validità del concetto di generalità. Con il suo background in neuroscienze, il capo di DeepMind sostiene che la capacità di apprendere un’enorme gamma di compiti diversi partendo da zero sia la prova che l’intelligenza può essere effettivamente generale. Hassabis non nega che esistano specializzazioni, ma sottolinea come sia gli esseri umani che i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati dimostrino una flessibilità tale da poter affrontare problemi mai incontrati prima. Per lui, la strada verso l’AGI non è un’illusione, ma un percorso ingegneristico che punta a creare sistemi capaci di eguagliare o superare le prestazioni umane in quasi ogni ambito cognitivo ed economico.
Il cuore del disaccordo risiede anche nell’approccio tecnico per colmare il divario tra le attuali IA e l’intelligenza di un essere umano. Mentre Hassabis punta molto sullo “scaling”, ovvero sul potenziamento dei modelli attuali attraverso enormi quantità di dati e potenza di calcolo, LeCun è convinto che manchino ancora scoperte fondamentali. Egli sostiene che i modelli linguistici attuali non possiedano una vera comprensione del mondo fisico e che, senza un “modello del mondo” capace di ragionamento e pianificazione, l’intelligenza artificiale rimarrà sempre limitata a compiti superficiali, lontana dalla profondità cognitiva di un bambino o persino di un animale domestico.
Questo scontro tra titani mette in luce quanto il settore sia ancora lontano da un consenso unanime. Da un lato c’è una visione pragmatica e biologica che vede l’intelligenza come uno strumento specializzato per la realtà fisica; dall’altro c’è l’ambizione di creare un’intelligenza universale capace di risolvere le sfide più grandi della scienza e della società. Indipendentemente da chi abbia ragione, il dibattito tra LeCun e Hassabis conferma che la corsa all’intelligenza artificiale non è solo una sfida di codici e algoritmi, ma una ricerca profonda sulla natura stessa del pensiero e della coscienza.
