Il boom dell’intelligenza artificiale non sta trasformando solo il software e i servizi digitali, ma sta ridefinendo in profondità anche gli equilibri dell’hardware globale. Secondo le ultime analisi di IDC, il mercato dei chip di memoria si avvia verso una carenza senza precedenti che dovrebbe manifestarsi in modo evidente a partire dalla fine del 2025 e protrarsi almeno fino al 2027. Al centro di questa dinamica c’è la crescita esplosiva dei data center dedicati all’IA, che stanno assorbendo una quota sempre maggiore della capacità produttiva mondiale di DRAM e NAND, con effetti a cascata su smartphone, PC e, in ultima analisi, sui consumatori.

La domanda di memoria per i data center AI sta crescendo a un ritmo molto più rapido rispetto a quella dei dispositivi consumer. Tecnologie come la memoria ad alta larghezza di banda (HBM) e la DDR5 ad alta capacità sono diventate componenti critiche per alimentare GPU, acceleratori e sistemi di calcolo avanzati utilizzati nell’addestramento e nell’inferenza dei modelli di intelligenza artificiale. Per soddisfare questa richiesta, i principali produttori di memoria hanno progressivamente riallocato le loro risorse produttive, riducendo l’offerta di DRAM e NAND destinate a smartphone e PC tradizionali.

Secondo IDC, non si tratta di una carenza ciclica, come quelle osservate in passato nel settore dei semiconduttori, ma di una vera e propria “riallocazione strategica” della produzione globale di wafer. Aziende come Samsung Electronics, SK Hynix e Micron stanno concentrando i loro impianti e gli investimenti sulle memorie enterprise ad alto margine, che garantiscono ritorni economici superiori rispetto ai chip destinati al mercato consumer. Il risultato è un rallentamento strutturale della crescita dell’offerta di memoria “general purpose”, proprio mentre la domanda resta sostenuta.

Le previsioni indicano che nel 2026 i tassi di crescita dell’offerta globale scenderanno al di sotto delle medie storiche, con la DRAM intorno al 16% e la NAND al 17%. Questa combinazione di offerta limitata e domanda in aumento sta creando una pressione strutturale sui prezzi, che rischia di riflettersi in modo diretto sui dispositivi di largo consumo. La memoria, infatti, rappresenta una quota significativa del costo di produzione: tra il 15 e il 20% per gli smartphone di fascia media e tra il 10 e il 15% per i modelli di punta.

In questo contesto, i produttori di smartphone si trovano davanti a scelte difficili. Aumenti dei costi di componenti così rilevanti lasciano poche alternative: assorbire l’impatto riducendo i margini, aumentare i prezzi di vendita oppure limitare l’evoluzione delle specifiche tecniche. Secondo gli analisti, le aziende focalizzate su modelli di fascia medio-bassa, come TCL, Transion, Xiaomi, Oppo, Vivo, Realme e Lenovo, saranno probabilmente costrette a trasferire una parte significativa dei costi sui consumatori, data la loro struttura basata su alti volumi e margini ridotti.

I grandi marchi con maggiore solidità finanziaria e contratti di fornitura a lungo termine, come Apple e Samsung Electronics, dispongono di un certo margine di manovra. Tuttavia, anche per loro le conseguenze non saranno trascurabili. IDC ritiene probabile che nel 2026 gli aggiornamenti delle specifiche saranno più contenuti del previsto, con limiti evidenti, ad esempio nella quantità di RAM disponibile anche sui modelli di fascia alta, che potrebbe restare ferma a 12 GB anziché crescere ulteriormente.

Le ripercussioni sul mercato globale degli smartphone potrebbero essere significative. Nello scenario considerato più moderato, IDC prevede una contrazione del mercato del 2,9% entro il 2026, mentre nello scenario pessimistico il calo potrebbe arrivare al 5,2%. Allo stesso tempo, i prezzi medi di vendita sono destinati ad aumentare, con incrementi stimati tra il 3 e il 5% nello scenario più favorevole e tra il 6 e l’8% in quello peggiore. Questo contesto potrebbe allungare ulteriormente i cicli di sostituzione dei dispositivi e aumentare, soprattutto nei mercati maturi, la dipendenza da formule di finanziamento e rateizzazione.

Anche il mercato dei PC si prepara a subire l’impatto della carenza di memoria. Qui la situazione è ulteriormente complicata da due fattori concomitanti: la fine del supporto di Microsoft per Windows 10 e la diffusione dei cosiddetti PC AI, dotati di NPU dedicate. Questi nuovi dispositivi richiedono configurazioni più spinte, con almeno 16 GB di RAM per garantire prestazioni adeguate nelle applicazioni basate sull’intelligenza artificiale. Tuttavia, l’aumento dei prezzi della memoria rende queste configurazioni sempre più costose.

Importanti produttori di PC come Lenovo, Dell, HP, Acer e ASUS hanno già segnalato aumenti di prezzo compresi tra il 15 e il 20% a partire dalla seconda metà del 2026. Anche in questo caso, le aziende devono bilanciare tre variabili difficili da conciliare: prezzi più alti, margini sotto pressione e possibili riduzioni delle specifiche. Le previsioni di IDC indicano un potenziale calo del mercato PC del 4,9% in uno scenario moderato e fino all’8,9% in uno scenario pessimistico, accompagnato da aumenti dei prezzi medi tra il 4 e il 6% o, nei casi peggiori, tra il 6 e l’8%.

Le conseguenze non saranno uniformi per tutti gli attori del settore. I grandi OEM, grazie a una catena di fornitura più robusta e a maggiori capacità negoziali, potrebbero persino rafforzare la loro quota di mercato. Al contrario, i piccoli assemblatori e il mercato del fai da te rischiano di essere i più penalizzati. Un segnale emblematico arriva da Paradox Custom, un’azienda che ha recentemente lanciato un PC venduto senza RAM, chiedendo agli utenti di installare autonomamente il modulo di memoria, una scelta che riflette in modo diretto la difficoltà di operare in un contesto di prezzi elevati e disponibilità limitata.

Nel breve termine, IDC non esclude che le spedizioni possano risultare più alte del previsto grazie all’accumulo di scorte nel quarto trimestre del 2025. Tuttavia, nel medio periodo, una struttura dei costi persistentemente elevata e una crescita della domanda più lenta sembrano inevitabili. Come ha sintetizzato l’istituto di ricerca, finché la capacità produttiva non verrà ampliata e la domanda non tornerà a un equilibrio più sostenibile, l’era della memoria abbondante ed economica può considerarsi conclusa, almeno per i prossimi anni.

Il 2026, secondo IDC, sarà un anno simbolico in questo senso: non sarà un rallentamento della domanda a spingere verso l’alto i prezzi dei prodotti tecnologici, ma i vincoli dell’offerta. Un cambiamento strutturale che mostra come il successo dell’intelligenza artificiale stia ridisegnando le priorità industriali globali, con effetti tangibili anche sui dispositivi di uso quotidiano.

Di Fantasy