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Per decenni le grandi aziende hanno investito miliardi in sistemi ERP — Enterprise Resource Planning — con la speranza di costruire macchine efficienti, dove processi, dati e compiti fossero perfettamente coordinati. Ma nonostante le promesse, molti stabilimenti produttivi e realtà asset-intensive oggi continuano a scontare inefficienze: dati frammentati, silos informativi, processi manuali e reattivi. È come se l’ERP avesse fornito uno scheletro, ma non il muscolo che renda viva l’operatività quotidiana. È in questo spazio che entra in scena una disciplina emergente: l’agentic AI (IA agentica), un paradigma che si propone di far evolvere i sistemi aziendali da piattaforme statiche a organismi intelligenti e auto-guidati.

È un cambio di prospettiva radicale. L’articolo pubblicato su Analytics India Magazine osserva che gli ERP non sono “falliti” per debolezze intrinseche, ma perché erano costruiti su framework rigidi e antiquati che non si adattano bene al flusso vitale dei dati aziendali. I sistemi ERP “mantengono dati, ma non evolvono con essi”. Nel frattempo, studi condotti da aziende come Verdantis mostrano che oltre il 50 % delle imprese asset-intensive patisce problemi di qualità dati, con dati maestri disgiunti tra ERP e sistemi di procurement. Il cambiamento non è da ricercare tanto nella sostituzione dell’ERP, ma nel suo rilancio tramite intelligenza agentica.

Ma che cosa significa davvero “agentic AI” in questo contesto? Non si tratta solo di sistemi che rispondono a comandi: sono agenti autonomi capaci di osservare, ragionare e intervenire sui processi aziendali, attivando automazioni, correzioni, sincronizzazioni e decisioni predittive. Sono strumenti che non aspettano di essere pilotati dall’uomo passo per passo, ma che si muovono con un certo grado di iniziativa, guidati da obiettivi corporativi. Possono scoprire anomalie, suggerire ottimizzazioni, intervenire su procedure mancanti.

Una delle chiavi principali è che l’agentic AI può intervenire su problemi che gli ERP tradizionali non sono mai stati capaci di affrontare: la mancanza di coerenza nei dati tra sistemi, la lentezza nella reazione ai cambiamenti (ad esempio un guasto su una linea produttiva), la necessità di decisioni contestuali in tempo reale che incrociano dominio operativo, supply chain, manutenzione, acquisti e qualità. Dove l’ERP tradizionale agisce come “registratore” di transazioni formalizzate, l’agentic AI si propone come “regista” dinamico che orchestra i flussi e salta autonomamente tra domini.

In pratica, alcune aziende “AI-native”, come ShellKode, e specialisti del master data come Verdantis, stanno sperimentando soluzioni che combinano agenti intelligenti con le basi dati aziendali esistenti. Non chiedono alle imprese di ripartire da zero, ma di raddoppiare la visione: conservare il fondamento gestionale dell’ERP, ma farlo vivere all’interno di un ecosistema agentico che colmi i vuoti e renda reattiva l’intera macchina operativa.

Tuttavia, si osserva che per far funzionare un sistema agentico reale servono dati ­ puliti, governance chiara, standard di interoperabilità elevati. Se i dati sono scarsi, incongruenti o disallineati tra moduli, l’agente intelligente rischia di “decidere male” o di propagare errori. Serve anche una progettazione attenta degli obiettivi dell’agente: se le metriche via via codificate sono sbagliate, l’agente potrebbe favorire strategie “nocive” — ad es. tagliare attività critiche per ottimizzare solo il breve termine. Inoltre, le imprese devono accettare un certo grado di “autonomia” della macchina, cosa che richiede fiducia, trasparenza e capacità di audit: ogni decisione dell’agente deve poter essere compresa e, se necessario, riaggiustata manualmente.

Un altro punto che l’articolo mette in luce è la “battaglia della maturità”: molte organizzazioni che oggi si dicono pronte all’AI agentica, in realtà hanno infrastrutture legacy, squadre poco esperte, culture aziendali che ostacolano la sperimentazione. Spesso gli investimenti in ERP delle scorse decadi hanno consolidato silos, processi rigidi e personalizzazioni pesanti che rendono difficile innestare un agente “esterno”. L’adozione agentica richiede quindi un salto non solo tecnologico, ma culturale: passare da un modello di controllo centralizzato e prescrittivo a una co-gestione con automazioni intelligenti.

Se l’agentic AI riuscirà a integrarsi strettamente con i moduli ERP, a sincronizzare in tempo reale i dati, a “correre avanti” rispetto al flusso operativo anziché inseguirlo, potremmo assistere a un salto di efficienza reale. Invece di attendere che un operatore scopra un problema e lo segnali al sistema, l’agente potrebbe prevenirlo, attivare parti mobili della catena, riorientare ordini o manutenzioni nel flusso stesso della produzione. In ambienti asset-intensive, dove ogni fermo – anche breve – costa migliaia se non milioni, un agente agile potrebbe essere la differenza tra margini stabili e continui sprechi.

Di Fantasy