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Cloudflare, uno dei più grandi fornitori di infrastrutture Internet, ha introdotto una funzionalità rivoluzionaria denominata AI Bot Block, progettata per rilevare automaticamente e bloccare i cosiddetti “crawlers” basati su intelligenza artificiale che tentano di estrarre contenuti senza autorizzazione o compenso.

Con questa mossa, Cloudflare diventa il primo fornitore di servizi CDN a impostare per default il blocco degli AI bot, invertendo il tradizionale modello opt-out di protezione dei contenuti in un modello opt-in, dove i proprietari dei siti decidono attivamente chi può scansionare le loro pagine.

L’implementazione di questo sistema rappresenta un punto di svolta nella battaglia per la tutela del lavoro intellettuale online. Ogni giorno, milioni di bot automatizzati raccolgono testi, immagini e dati da siti web, alimentando motori di ricerca e modelli linguistici senza restituire valore ai creatori di contenuti. Fino ad oggi, la difesa principale si è basata sui file robots.txt, un metodo “su base di onore” che, secondo Cloudflare, era adottato efficacemente da meno del 15% dei primi 10.000 domini mondiali.

L’AI Bot Block supera questa debolezza generando e gestendo automaticamente le direttive per bloccare selettivamente i bot più aggressivi, proteggendo aree specifiche del sito, come pagine ricche di annunci o sezioni premium, e garantendo così prestazioni ottimali e dati analitici non falsati.

Uno degli aspetti più innovativi di questo servizio è il modello “Pay Per Crawl”, che trasforma la relazione fra editori e aziende AI in un vero e proprio mercato dei contenuti. Gli editori possono configurare un costo per ogni scansione: consentire l’accesso gratuito, richiedere una micropagamento o negare del tutto l’accesso. Le richieste non pagate vengono respinte con uno stato HTTP 402 (“Payment Required”), mentre le aziende AI devono includere nelle loro intestazioni HTTP l’intenzione di pagamento per poter proseguire. In questo modo, il valore imprenditoriale di articoli, immagini e dati torna nelle mani di chi li crea, creando una nuova forma di monetizzazione digitale.

Dal punto di vista operativo, molti editori hanno già colto il potenziale di Cloudflare: grandi nomi come Condé Nast, TIME, The Associated Press e The Atlantic hanno attivato il blocco predefinito per fermare milioni di richieste da crawler non autorizzati nell’arco di poche ore dalla messa in funzione. Alcuni di questi editori avevano osservato che, all’inizio del 2025, ogni 250 pagine scansionate da OpenAI generava soltanto una visita umana; a giugno, tale rapporto era precipitato a una visita ogni 1.500 pagine, evidenziando l’assoluta sproporzione fra utilizzo dei contenuti e traffico reale generato.

Per i siti e-commerce, la limitazione dei bot non autorizzati si traduce in un duplice vantaggio: da un lato, si riduce il carico server, contrastando rallentamenti e interruzioni; dall’altro, si preserva la qualità dei dati analitici, fondamentali per decisioni di marketing e gestione delle scorte. Anche i fornitori di servizi API potrebbero beneficiare in futuro di un’estensione di questa filosofia di “accesso controllato e retribuito”, proteggendo endpoint sensibili e stabilendo un compenso per ogni richiesta automatizzata.

Nonostante l’entusiasmo degli editori, alcune grandi aziende AI hanno scelto di non collaborare. OpenAI, per esempio, ha rifiutato di partecipare alla fase di anteprima, sostenendo che l’introduzione di un “intermediario” rallenterebbe l’iter di raccolta dei dati. A livello più ampio, resta da vedere se le società di AI accetteranno di pagare per contenuti che finora hanno ottenuto gratuitamente, ma la posizione dominante di Cloudflare — utilizzato dal 20% dei siti web e intermediario del 16% del traffico globale Internet — gli conferisce un peso negoziale non trascurabile.

Un’ulteriore questione riguarda la SEO: bloccare i bot AI non interferirà con l’indicizzazione tradizionale da parte di Google, che utilizza crawler dedicati con finalità diverse dai bot di training dei modelli linguistici. Però, mentre i motori di ricerca integrano sempre più funzioni AI nelle pagine dei risultati, il confine fra crawler “amici” e “ostili” potrebbe diventare più sfumato, spingendo i professionisti SEO a rivedere le proprie strategie per mantenere visibilità e ranking.

Guardando al futuro, la sfida principale rimane l’adozione di un quadro normativo e tecnologico condiviso: se da un lato il modello Pay Per Crawl rappresenta un primo esperimento concreto, dall’altro richiede che editori, fornitori di infrastrutture e aziende AI trovino accordi di mercato sostenibili. Sarà interessante osservare se altri provider di CDN, come Akamai o Fastly, seguiranno l’esempio di Cloudflare, dando vita a un’effettiva “asta” tra infrastrutture sul riconoscimento e il pagamento dei contenuti.

In conclusione, l’AI Bot Block di Cloudflare non è solo un nuovo strumento di difesa contro i bot indesiderati, ma segna l’inizio di una possibile ridefinizione del valore economico dei contenuti sul web. Restituendo agli autori il potere di determinare chi e come può accedere al loro lavoro, Cloudflare apre la strada a un Internet in cui la creazione di valore intellettuale viene riconosciuta e remunerata in modo equo, ponendo le basi per un ecosistema digitale più sostenibile e rispettoso dei diritti di tutti gli attori coinvolti.

Di Fantasy