L’adozione dell’Intelligenza Artificiale (AI) da parte del settore della consulenza e dei servizi professionali era inizialmente vista come la panacea, la soluzione definitiva per aumentare l’efficienza, ridurre i costi e, in ultima analisi, salvare un modello di business sempre più sotto pressione. Le grandi firm di consulenza hanno investito massicciamente nell’integrazione di strumenti basati sull’AI generativa (GenAI), promettendo di automatizzare compiti ripetitivi, velocizzare l’analisi dei dati e fornire insight più profondi. Tuttavia, l’esperienza sul campo sta rivelando un paradosso amaro: anziché rafforzare il settore, l’AI ha iniziato a esporre le crepe e le inefficienze strutturali che affliggono il modello di consulenza tradizionale.

Il modello operativo storico della consulenza si basa sulla “piramide” del personale: un ristretto numero di partner esperti e senior che supervisionano una vasta base di analisti e associati junior, i quali svolgono la maggior parte del lavoro di raccolta dati, formattazione, creazione di presentazioni e ricerca di base. I ricavi sono generati fatturando ai clienti un alto numero di ore-uomo, spesso attraverso il lavoro di questa base junior, vendendo l’efficienza e l’accesso a competenze di alto livello.

Quando l’AI generativa è stata introdotta, l’aspettativa era che potesse agire come un co-pilota o un super-analista, eliminando la necessità per i junior di passare ore in compiti a basso valore aggiunto come la formattazione dei dati o la redazione delle bozze. In teoria, questo avrebbe dovuto rendere la piramide più snella e i servizi più focalizzati sul vero insight.

Ciò che è accaduto, invece, è che l’AI ha automatizzato il lavoro della base della piramide in modo troppo efficiente. Molti dei compiti che giustificavano l’alto numero di dipendenti junior sono diventati quasi istantanei. Questo ha messo in luce una cruda verità: gran parte del valore fatturato ai clienti, e gran parte delle ore accumulate, era legato a quel lavoro di mediazione e formattazione che l’AI ora gestisce con facilità. L’AI non ha solo migliorato l’efficienza; ha reso obsoleto il metodo con cui veniva generata una parte significativa delle entrate.

La vera sfida non è tecnologica, ma culturale ed economica. Il problema principale per le firm di consulenza è come ristrutturare il modello tariffario e il pricing del servizio in un mondo in cui il lavoro di 10 analisti junior può essere replicato da un singolo agente AI. I clienti non sono più disposti a pagare tariffe orarie esorbitanti per un lavoro che sanno essere eseguito da una macchina in pochi minuti.

Inoltre, l’AI ha esposto la fragilità della differenziazione tra le diverse firm. Se l’AI può accedere a quasi tutta la conoscenza pubblica e standardizzare le analisi, il vero valore di un consulente si sposta sempre più verso la sintesi creativa, l’empatia, il change management e l’applicazione tailor-made di soluzioni complesse – tutte abilità che richiedono consulenti senior e altamente qualificati, ma che non sono scalabili con il modello della piramide.

Questa transizione sta generando una forte resistenza interna. I consulenti senior, abituati a un modello basato sull’accumulo di ore e sulla promozione dei junior attraverso la gestione di compiti ripetitivi, faticano ad abbracciare un futuro in cui il loro valore deriva solo dall’esperienza strategica.

L’AI non sta uccidendo la consulenza, ma sta forzando un’accelerazione della sua trasformazione. Il modello della piramide sta lasciando il posto a quello della “clessidra” o del “diamante”. Questo nuovo modello prevede ancora un piccolo nucleo di partner strategici in alto e una significativa componente di tecnici specializzati (esperti di dati, ingegneri AI) in basso per gestire l’infrastruttura tecnologica. Ma il middle management e la tradizionale base di analisti junior si riducono drasticamente o vengono convertiti in ruoli focalizzati sulla “post-AI” elaborazione, ovvero la verifica dei risultati dell’AI e la loro integrazione con la strategia umana.

Le firm che sopravvivranno saranno quelle che smetteranno di vendere ore di lavoro e inizieranno a vendere soluzioni e outcome garantiti, sfruttando l’AI non come un modo per massimizzare le ore fatturabili, ma come una leva strategica per risolvere i problemi dei clienti in modo più veloce e meno costoso, re-investendo il personale risparmiato in ruoli ad alto valore aggiunto e di vera differenziazione sul mercato. L’AI ha semplicemente costretto la consulenza ad affrontare la sua crisi di identità: il valore risiede nell’esperienza strategica, non nel lavoro di copia-incolla.

Di Fantasy