C’è un momento in cui la tecnologia non è più un’opzione, ma una necessità. Per il mondo dei commercialisti, quel momento sta arrivando — e l’intelligenza artificiale (IA) si prepara a cambiare non solo gli strumenti del mestiere, ma l’intero modo in cui si costruisce il rapporto con il cliente, si organizzano le attività e si definisce il valore professionale. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) ha predisposto una clausola contrattuale tipo da introdurre nei mandati professionali, per adempiere all’obbligo di informativa verso il cliente circa l’uso dell’IA nello svolgimento dell’attività professionale.
Questa clausola nasce in risposta all’entrata in vigore dell’articolo 13 della legge 132/2025, che impone ai professionisti di comunicare ai clienti con linguaggio semplice e trasparente quando si avvalgono di strumenti di IA. Il documento redatto dal CNDCEC non rappresenta solo un atto burocratico, ma un segno di consapevolezza: l’IA è uno strumento che può potenziare, non sostituire, la capacità del commercialista. Lo stesso articolo spiega come, secondo il modello proposto, l’IA debba restare un supporto — utilizzata per ricerche documentali, elaborazione delle bozze, organizzazione dei dati — ma le decisioni ultime, le valutazioni critiche e la responsabilità rimangano saldamente in capo al professionista.
L’adozione di questa clausola è inserita in un percorso più ampio: il CNDCEC ha già lanciato una guida intitolata “L’Aiuto Intelligente al Commercialista”, che vuole accompagnare i professionisti nel passaggio verso un uso consapevole e responsabile dell’IA.
Nella guida si esplorano varie modalità con cui le AI generaliste e specializzate possono integrarsi negli studi, affrontando questioni di privacy, sicurezza dei dati, algoritmi, interfacce, aggiornamenti continui. Non si tratta di offrire soluzioni definitive, ma di stimolare riflessioni, sperimentazioni e percorsi personalizzati: ogni studio è diverso, ogni cliente è diverso.
In parallelo a queste iniziative istituzionali, il dibattito tra i commercialisti è vivo. Da un lato molti percepiscono l’IA come un’opportunità: liberare tempo dalle attività ripetitive, accelerare la ricerca normativa, automatizzare processi contabili di routine. Già oggi alcune funzioni dello studio — la classificazione automatica dei documenti, la scansione intelligente, l’anticipazione di alert fiscali — possono essere supportate da applicazioni che incorporano modelli intelligenti.
Dall’altro lato, c’è cautela. Molti professionisti riconoscono che il valore del commercialista non sta nel calcolo stesso, ma nella scelta di cosa calcolare, nell’interpretazione dei numeri e nella capacità di guidare il cliente in scelte strategiche. L’IA non può sostituire il contesto, l’esperienza, l’empatia — almeno non in quelle fasi decisionali che richiedono profondità e pragmatismo.
Un aspetto cruciale è che l’IA non può essere una “scatola nera” che compie miracoli senza spiegazioni. Il cliente ha diritto a sapere che algoritmo è stato usato, su quali dati, con quali limiti e quali controlli. Il mandato che il commercialista stipula con il cliente deve quindi includere clausole che esplicitano queste condizioni. Il CNDCEC lo ha ben compreso, proponendo che la clausola tipo menzioni la finalità ausiliaria dell’uso dell’IA, la garanzia che le decisioni finali spettino al professionista, il diritto del cliente di richiedere spiegazioni, la protezione dei dati e la possibilità di escludere l’uso di IA in casi discrezionali.
Al netto delle regole, il vero nodo è culturale: la trasformazione più difficile non è di software ma di mentalità. Il professionista deve accettare che l’IA diventi parte integrante del suo lavoro, che non si tratti di usarla solo come gadget, ma di integrarla in un flusso progettato. Deve coltivare competenze nell’interpretare output algoritmici e saper intervenire dove l’algoritmo inciampa. Deve consolidare la fiducia del cliente in un contesto in cui “cosa fa il sistema” non è scontato. Come sottolinea una delle guide, “non si tratta più di chiedersi se l’IA inciderà sulla professione, ma come integrarla in modo efficace, responsabile e personalizzato”.
Alla fine, emerge un’immagine distinta: il commercialista non come esecutore aritmetico, ma come regista della consulenza. L’IA potrà gestire montagne di dati, proporre correlazioni nascoste, suggerire scenari, ma sarà il professionista umano che collega queste possibilità con i fini del cliente, che interpreta, che decide. Nella misura in cui lo strumento digitale diventa più potente, il ruolo umano si sposta verso il disegno del percorso, la scelta dei criteri, la relazione fiduciaria.