I recenti dati diffusi da Eurostat dipingono un quadro chiaro e variegato sull’adozione dell’intelligenza artificiale (AI) all’interno del tessuto imprenditoriale europeo, evidenziando una significativa spinta verso l’innovazione, ma anche marcate differenze tra gli Stati membri. L’analisi rivela che circa un’impresa su cinque all’interno dell’Unione Europea, pari al 20%, ha dichiarato di aver utilizzato l’AI nel corso dell’anno di riferimento. Questa percentuale, sebbene rappresenti un passo avanti verso la digitalizzazione, nasconde al suo interno un mosaico di velocità e priorità distinte.

In testa a questa classifica di adozione si posiziona in modo netto la Danimarca, che registra un impressionante 42% delle imprese che fanno uso di tecnologie di intelligenza artificiale. Seguono a ruota altri paesi con percentuali superiori alla media europea, come i Paesi Bassi (30%), Finlandia (28%) e Irlanda (27%). Questi paesi dimostrano di aver integrato l’AI non solo come un lusso tecnologico, ma come un elemento strutturale per l’ottimizzazione dei processi e la competitività aziendale. È evidente che in queste nazioni si è sviluppato un ecosistema più maturo e recettivo verso le soluzioni basate sull’apprendimento automatico e l’automazione intelligente.

In questo contesto, l’Italia si colloca in una posizione leggermente al di sotto della media europea, con un tasso di adozione del 19%. Sebbene la distanza dalla media non sia abissale, questo dato suggerisce che il panorama imprenditoriale italiano, composto in larga parte da piccole e medie imprese, sta affrontando la transizione verso l’AI con una certa cautela o con ritmi più graduali rispetto ai leader continentali. Il dato italiano invita a una riflessione sulle possibili barriere all’adozione, che possono spaziare dalla mancanza di competenze specializzate, alla necessità di maggiori investimenti in infrastrutture digitali, fino alla percezione del reale ritorno sull’investimento di queste tecnologie.

Le applicazioni dell’AI nelle imprese europee sono eterogenee, ma si concentrano principalmente in ambiti di automazione e ottimizzazione. Tra gli usi più comuni si trovano l’analisi di grandi volumi di dati (big data) per prendere decisioni di business più informate, il miglioramento dell’assistenza clienti attraverso chatbot o assistenti virtuali, e l’automazione di compiti ripetitivi all’interno dei processi di produzione o amministrativi. L’impiego dell’AI nel riconoscimento vocale, nella visione artificiale o nella robotica avanzata è spesso sintomatico di settori industriali ad alta intensità tecnologica.

La diffusione dell’AI non è un fenomeno uniforme neanche tra le diverse dimensioni aziendali. Generalmente, le grandi imprese tendono ad adottare l’intelligenza artificiale in misura molto maggiore rispetto alle PMI, per via della maggiore disponibilità di risorse finanziarie e umane dedicate alla ricerca e all’implementazione tecnologica. Questo divario dimensionale rappresenta una delle sfide principali per l’Unione Europea, che ambisce a una diffusione capillare dell’innovazione digitale per garantire la competitività complessiva del mercato unico.

I dati Eurostat, quindi, non offrono solo una fotografia dello stato attuale, ma fungono da stimolo per le politiche europee. Il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione fissati dall’UE richiede un’azione concertata che miri a colmare il gap tra i paesi più avanzati e quelli che procedono a un ritmo più lento, supportando in particolare le PMI nell’accesso e nell’utilizzo di queste tecnologie trasformative. La Danimarca, con il suo elevato tasso di adozione, può essere vista come un modello di riferimento per dimostrare come l’integrazione dell’AI sia ormai una componente indispensabile per l’efficienza e la crescita nell’economia del XXI secolo.

Di Fantasy