Immagine AI

MIT Data to AI racconta una storia che sembra uscita da un film di fantascienza, eppure è realtà nel presente: quella di Eva Murati, definita la «prima attrice italiana realizzata con l’intelligenza artificiale». Un personaggio sfuggente, affascinante, che calcando il red carpet – rosso vestito, sorriso sicuro – incanta sguardi e fotografie, ma al tempo stesso ha un dettaglio che fa vacillare ogni certezza: Eva Murati non esiste come persona fisica.

Quando si osserva Eva Murati – incarnata da immagini, video, abiti da sera – colpiscono i tratti: pelle chiara, capelli rosso fiammante, occhi verdi. Una bellezza che sembra uscita da uno standard quasi “da copertina”, ma che gli stessi creatori riconoscono come artificiale. Questo volto incarna una diva consumata, che si muove con disinvoltura sul tappeto rosso senza bisogno di un regista che la diriga. Di fronte a quegli scatti, lo spettatore potrebbe pensare di trovarsi davanti a una celebrità reale; invece, quello che sembra tangibile è una sofisticata illusione.

Il progetto porta la firma della neonata società HAI Human & Artificial Imagination in collaborazione con la storica casa di VFX italiana EDI Effetti Digitali Italiani. Il team – composto da Francesco Grisi, Francesco Pepe e Stefano Leoni – spiega che «Eva è un esperimento, un modo per dimostrare cosa è possibile realizzare con l’AI, per esplorare nuovi confini e allo stesso tempo una dichiarazione d’amore verso il cinema: è insostituibile l’emozione umana dietro ogni immagine».

In concreto, Eva Murati sarà protagonista del cortometraggio italiano The Last Image, descritto come «il primo cortometraggio italiano realizzato con il supporto dell’intelligenza artificiale generativa». Non si tratta di un automa che agisce da solo: il team tiene a precisare che tutte le fasi – scrittura, regia, fotografia, post-produzione – sono state gestite da esseri umani. L’AI entra come strumento, non come sostituto. Circa cinquanta persone avrebbero preso parte a quel processo produttivo.

Nel lancio del progetto, è emersa una visione chiara: l’intelligenza artificiale non deve essere vista come un modo per eliminare l’essere umano dal processo creativo, ma piuttosto come un amplificatore della creatività e dell’efficienza. «Fino ad ora si è parlato di AI come strumento per non avere più bisogno di nessuno. Il nostro approccio è di ridefinire l’uso dell’AI nel modo di fare cinema», ha dichiarato il team. Questo corto, ambientato nell’Inghilterra del XIII secolo, segue un giovane contadino in viaggio verso il patibolo e un intreccio – amore, amicizia, fuga – che pare generato da sceneggiatori e machine learning insieme.

Il progetto vuole porsi proprio in questo spazio di tensione: affascinare e al tempo stesso interrogarci. È un invito a riflettere sia sul potenziale artistico dell’AI, sia sui rischi che comporta – dalla diluizione del ruolo umano al tema dei diritti, delle credenziali, della qualità.

Di Fantasy