Immagine AI

C’è un momento, nella storia delle tecnologie per il marketing, in cui l’interfaccia scompare. Non più tavolozze, griglie e decine di pannelli da riempire, ma un motore che ti chiede l’URL del tuo sito e, nel giro di pochi minuti, confeziona idee e contenuti “già pronti” per i canali social, il sito e perfino la pubblicità. Con Pomelli, il nuovo esperimento AI annunciato da Google Labs insieme a Google DeepMind, quel momento sembra essere arrivato. Lanciato il 28 ottobre 2025, Pomelli promette di alleggerire uno dei colli di bottiglia più dolorosi per le piccole e medie imprese: produrre contenuti coerenti con il brand, con costanza, senza disporre di un’agenzia o di un reparto creativo interno. La promessa è chiara: campagne “on-brand” generate in pochi passaggi, a partire da ciò che l’azienda è già, cioè il suo sito web.

L’idea cardine è il “Business DNA”, una sorta di impronta identitaria che l’IA ricava automaticamente analizzando il sito dell’azienda. Non si tratta solo di estrarre i colori del logo o un font ricorrente: secondo Google, Pomelli “capisce” tono di voce, palette cromatiche, immagini e tipografia, e usa questo profilo per ancorare ogni generazione creativa a una coerenza riconoscibile. Questo sposta l’asticella del lavoro dai template da personalizzare — a cui l’ecosistema si era abituato — a un flusso dove l’output è già calato nello stile di marca, senza dover ricostruire ogni volta la cornice visiva e verbale. In termini pratici, l’utente inserisce l’URL, lascia che il sistema costruisca il DNA, quindi riceve una serie di idee di campagna e, infine, un set di asset modificabili e scaricabili, già adattati alle specifiche dei vari canali. Tutto dentro Pomelli, senza passare da altre suite.

Google posiziona Pomelli apertamente come uno strumento pensato per chi ha poco tempo, budget limitati e necessità “seriali” di pubblicazione. L’invito alla prova è esplicito, con un perimetro ben definito: per ora è una beta pubblica disponibile in lingua inglese in Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Il messaggio è duplice: da un lato, Google raccoglie feedback sull’esperienza; dall’altro, rende evidente l’ambizione di portare la generazione creativa “a un clic” per platee che, finora, si arrangiavano con strumenti più generici o con applicazioni nate per il design e adattate al marketing.

Nelle prime analisi di stampa il quadro competitivo appare già tracciato. Pomelli entra in un’arena popolata da piattaforme come Canva e Adobe, che hanno normalizzato l’idea di un’interfaccia grafica per creare contenuti; la novità, sottolineano i primi resoconti, è il tentativo di “togliere” l’interfaccia, privilegiando risultati finiti rispetto a template da riempire. In questo senso, Pomelli si affianca al più ampio portafoglio di strumenti AI-oriented di Google, in un contesto dove anche altri attori — dai giganti del design agli specialisti del marketing automation — spingono su generazione, adattamento multicanale e, sempre più spesso, su agenti che coordinano attività ripetitive. L’uscita di Firefly 5 di Adobe, per esempio, è stata letta come un tassello dello stesso mosaico: automazione creativa più potente, con generazione visiva avanzata e flussi più snelli. Il confronto è inevitabile, e aiuta a capire perché Google scelga di partire dalle PMI con un modello free in beta: è un terreno dove la frizione d’adozione conta più di tutto.

Dal punto di vista del “come funziona”, il flusso in tre atti di Pomelli è tanto semplice quanto rivelatore. Il DNA di marca costruito dall’IA serve a evitare quello che molti piccoli business percepiscono come un “rumore di fondo” nelle pubblicazioni: quella deriva in cui ogni post somiglia a un altro, ma nessuno assomiglia veramente all’azienda. Le idee di campagna generate — e modificabili, anche a partire da un prompt libero — puntano a sostituire l’ansia del foglio bianco con spunti già orientati a obiettivi. Infine, l’editing in-tool di testi e immagini consente di rifinire senza dover esportare o passare per altri software, con l’ulteriore vantaggio di adattare i formati al canale di destinazione. È la promessa di una “coerenza senza sforzo”, concetto che parla la lingua dei calendari editoriali saturi e delle risorse ridotte.

Resta un’area che vale la pena osservare da vicino: quali modelli ci sono “sotto il cofano” e come si comportano su brand molto particolari o con estetiche fortemente caratterizzate. Google, per ora, non dettaglia l’architettura; osservatori di settore ipotizzano un mix della famiglia Gemini per la generazione testuale e dei modelli visuali della casa (Imagen per le immagini statiche, Veo per il video), ma sono inferenze, non schede tecniche ufficiali. Sarà interessante capire come Pomelli gestirà sfide tipiche del branding, dall’uso di fotografie proprietarie all’aderenza a linee guida molto rigide, fino ai temi di sicurezza dei contenuti e di tutela del copyright quando l’IA propone variazioni “in stile”. Per ora, Google chiede feedback e dichiara esplicitamente l’intento sperimentale.

C’è anche la questione dei dati: per generare un DNA di marca solido, Pomelli deve leggere il sito e le immagini esistenti. Non è un dettaglio irrilevante per chi ha sensibilità elevate su privacy, governance degli asset e compliance settoriale. La documentazione pubblica al lancio insiste soprattutto sull’esperienza d’uso e sull’obiettivo di qualità degli output; per le PMI che operano in ambiti regolamentati, sarà prudente verificare termini d’uso, limiti di responsabilità sugli asset generati e, soprattutto, modalità di trattamento dei materiali caricati o analizzati. In altre parole, l’automazione creativa che seduce per velocità va sempre accompagnata da una lettura attenta delle regole del gioco.

Al netto di questi interrogativi, la direzione è chiara. Il marketing “assistito” da AI si sta spostando dal supporto puntuale — scrivere una caption, ridimensionare un’immagine — a un livello in cui l’unità minima non è più il singolo contenuto, ma la campagna. È una ricomposizione che ha un impatto immediato sulle abitudini delle micro-strutture: meno passaggi manuali, meno rimbalzi tra strumenti, più attenzione all’idea e al colpo d’occhio finale. Se, come spesso accade, gli strumenti che vincono sono quelli che fanno risparmiare tempo senza far perdere controllo, Pomelli ha scelto una traiettoria sensata: partire dalla coerenza di marca e farla diventare il telaio invisibile di tutto ciò che produce.

Il punto sarà vedere cosa succede quando la beta si allargherà e arriveranno i primi casi d’uso “sporchi”, quelli delle aziende con siti vecchi, identità frammentate, materiali poco omogenei. È lì che si misurerà la qualità del DNA ricostruito e, di conseguenza, la tenuta degli asset generati. Nel frattempo, per una platea immensa di PMI che alternano settimane di iper-attività a pause forzate, l’idea di un assistente capace di trasformare l’esistente in campagne coerenti — e farlo in tre passaggi, senza strumenti aggiuntivi — ha il sapore di una scorciatoia legittima. Se manterrà le promesse, Pomelli non sostituirà il gusto e l’occhio umano, ma potrà togliere di mezzo una mole di frizione creativa, restituendo al marketing la cosa più preziosa che spesso manca: continuità.

Di Fantasy