La notizia, nella sua forma più semplice, è che Microsoft e OpenAI hanno aggiornato il loro patto e che la quota di Redmond nel nuovo veicolo societario arriva a valere circa 135 miliardi di dollari. Ma la cifra, per quanto vertiginosa, è solo l’entrata in scena di un cambiamento più profondo: OpenAI completa la transizione verso una Public Benefit Corporation, la vecchia fondazione resta il perno di controllo “di missione” e l’intesa con Microsoft si riallinea a questa architettura, ridefinendo diritti, doveri e margini di manovra per entrambe le parti. Il risultato è un rapporto meno monolitico e più regolato, costruito per durare nel tempo e, soprattutto, per reggere l’accelerazione industriale dell’intelligenza artificiale generativa.

Il primo elemento che colpisce è la chiarezza con cui i due attori collocano valore e percentuali. Microsoft afferma che, a seguito della ricapitalizzazione, il suo investimento in OpenAI Group PBC vale circa 135 miliardi di dollari e si traduce in una partecipazione di massima nell’ordine del 27% su base “as-converted diluted”, cioè considerando l’intero perimetro degli azionisti potenziali, dai dipendenti ai finanziatori fino alla stessa OpenAI Foundation. Dentro questa cornice, l’alleanza prosegue lungo i binari noti: Azure resta la spina dorsale di calcolo e la collaborazione sui prodotti continua, ma con una governance più leggibile per mercati e regolatori, dopo mesi in cui la struttura ibrida di OpenAI era stata oggetto di osservazione e di contenziosi.

A livello societario, il passaggio alla PBC non è un dettaglio formale. Significa ancorare l’attività for-profit a un mandato di beneficio pubblico, mantenendo in capo alla fondazione un ruolo di custodia della missione e una leva sul governo del perimetro industriale. La narrativa ufficiale sottolinea l’intenzione di coniugare crescita, sicurezza e cooperazione scientifica, con la fondazione che resta il riferimento di legittimazione mentre l’entità commerciale acquisisce più libertà operativa per raccogliere capitali e scalare prodotti. Nelle ricostruzioni giornalistiche, la manovra porta anche a una valutazione implicita complessiva che orbita attorno ai 500 miliardi di dollari, un livello che riflette il peso reale assunto da ChatGPT e dai modelli di OpenAI nelle filiere software e nei servizi al consumo.

Il nuovo accordo ridefinisce anche i rapporti di forza contrattuali. L’intesa del 2019, che aveva scambiato accesso privilegiato al cloud con vincoli stringenti sulla raccolta e sull’uso dei modelli, viene aggiornata per un’era in cui l’AI è infrastruttura, non più solo ricerca avanzata. Qui si intravedono due tendenze: da un lato, Microsoft consolida un ritorno economico quasi decuplicato rispetto ai 13,8 miliardi investiti, mantenendo diritti estesi d’uso sui prodotti e sui modelli di OpenAI lungo l’orizzonte del decennio; dall’altro, alcune prerogative più invasive – come il diritto di prelazione automatico su nuovi round o su asset non-software – lasciano spazio a una relazione più paritetica, nella quale OpenAI può manovrare capitali e roadmap con maggiore autonomia, ferma restando la dipendenza critica da Azure per la potenza di calcolo. È la maturazione di un matrimonio industriale: meno “esclusiva totale”, più interoperabilità regolata.

Dal punto di vista strategico, l’aspetto forse più sottovalutato riguarda il rischio. L’inverno 2023-2024 aveva rivelato quanto governance e continuità operativa potessero essere fragili quando missione, struttura e incentivi non sono perfettamente allineati. La nuova configurazione punta a rafforzare il perimetro fiduciario: un pannello indipendente per validare eventuali dichiarazioni di AGI, regole più trasparenti su chi decide cosa nel caso di milestone sensibili, una linea di responsabilità che separa il “perché” (la fondazione) dal “come” (la PBC). Per Microsoft, questo significa abbassare l’alea reputazionale e legale mantenendo la leva industriale; per OpenAI, significa poter attrarre capitali e talenti con un racconto di stabilità che prima appariva intermittente.

Naturalmente, il tema economico resta spinoso. Nonostante il valore teorico della partecipazione, la contabilizzazione dei costi e dei ricavi legati a OpenAI è stata fin qui opaca, con perdite e oneri aggregati in voci “altre” che poco dicono agli investitori sul quadro reale dell’esposizione. Proprio per questo, il patto aggiornato è anche un messaggio ai mercati: standardizzare disclosure, diritti e obblighi può aiutare a ridurre l’incertezza che circonda un asset ormai centrale nella tesi d’investimento di Microsoft. Le cronache finanziarie delle ultime settimane hanno insistito su questa esigenza di trasparenza, segnalando come il passo odierno sia anche un tentativo di mettere ordine ai numeri, non solo alle regole.

Sul fronte prodotto, l’accordo mette al riparo ciò che all’utente finale importa di più: continuità e velocità. La promessa è che i diritti d’uso di Microsoft sui modelli OpenAI reggano comunque alla tempistica dell’eventuale arrivo di nuove generazioni – inclusi i casi in cui si rivendichi un salto “di specie” verso forme più generali di intelligenza – garantendo ai team di Azure e di Copilot una traiettoria prevedibile nell’integrazione. È in questo equilibrio che si misura la maturità dell’ecosistema: mantenere incentivi all’innovazione di OpenAI senza far tremare la pipeline di prodotto e di ricavi di Microsoft, oggi legata a doppio filo ai copiloti generativi.

Infine, c’è il sottotesto politico-regolatorio. La struttura PBC, con una fondazione “sopra” a presidio di finalità pubbliche, è anche un messaggio ai supervisori che in Europa e negli Stati Uniti chiedono maggiore responsabilità su dati, sicurezza e impatti sociali. Rendere più chiaro “chi decide” e “cosa si può fare” quando si superano soglie di capacità – e chi certifica di averle superate – è parte della licenza sociale che i grandi attori dell’AI devono mantenere per continuare a innovare senza attriti insostenibili. In questo senso, l’aggiornamento contrattuale con Microsoft non è un semplice rinnovo, ma il tentativo di armonizzare governance, capitali e accountability in un settore che sta diventando infrastruttura critica.

Di Fantasy