Negli Stati Uniti, lo Stato dell’Oklahoma potrebbe diventare il primo ad affidarsi in maniera sistematica all’intelligenza artificiale per monitorare i candidati alla libertà vigilata e alla libertà condizionale. Secondo quanto riportato da ABC News, è in corso un programma pilota che utilizza una piattaforma chiamata Absolute ID, sviluppata dalla società Global Accountability. Si tratta di un progetto da 2 milioni di dollari che ha già acceso un dibattito intenso su opportunità, costi e implicazioni etiche.
Il funzionamento del sistema è piuttosto diretto, almeno in apparenza. Non servono più braccialetti elettronici ingombranti o dispositivi separati di localizzazione: basta un telefono cellulare o uno smartwatch personale. L’utente si autentica tramite riconoscimento facciale o impronta digitale e, a quel punto, l’IA entra in gioco per analizzare una vasta gamma di informazioni. Non solo la posizione al momento del check-in, ma anche i movimenti effettuati, i percorsi seguiti e persino la frequenza con cui il dispositivo viene ricaricato. È un controllo capillare che supera di gran lunga gli strumenti di monitoraggio tradizionali.
I sostenitori vedono in questa tecnologia una rivoluzione. Per la polizia e gli uffici di sorveglianza, significherebbe ridurre il carico di lavoro e avere un quadro più preciso della condotta dei candidati alla libertà vigilata. Per i soggetti coinvolti, l’uso di dispositivi personali anziché braccialetti elettronici potrebbe tradursi in minore stigmatizzazione sociale e in una maggiore facilità di reinserimento. Inoltre, sul lungo periodo, il governo statale potrebbe risparmiare denaro grazie a un monitoraggio più efficiente e meno costoso da mantenere rispetto a infrastrutture più obsolete.
Ma non mancano le critiche. Il deputato repubblicano Jim Olson ha espresso dubbi soprattutto sui costi iniziali: due milioni di dollari non sono una cifra irrilevante, e c’è chi teme che, una volta adottato su larga scala, il sistema possa tradursi in un peso ulteriore per i contribuenti. Accanto alle preoccupazioni economiche, emergono quelle legate alla privacy e al rischio di sorveglianza eccessiva. La possibilità di raccogliere dati così dettagliati sulla vita quotidiana delle persone – dai movimenti alla gestione del dispositivo – apre scenari delicati in termini di diritti civili e libertà individuali.
Il caso dell’Oklahoma non nasce dal nulla. Lo Stato ha già mostrato un forte interesse per l’impiego dell’intelligenza artificiale nelle attività di polizia. Lo scorso luglio, ad esempio, è stato approvato l’uso del riconoscimento facciale basato su AI da parte delle forze dell’ordine. Absolute ID si inserisce in questa traiettoria, ampliandone la portata e mostrando la volontà di fare dell’IA uno strumento di governance della sicurezza pubblica.
Il nodo centrale resta capire se questo approccio sarà davvero un passo avanti o un passo falso. Da un lato, c’è la promessa di un sistema più umano – niente più dispositivi punitivi visibili – e più efficiente. Dall’altro, il rischio che la tecnologia diventi una rete invisibile ma onnipresente, che trasforma la vita delle persone monitorate in una continua trasmissione di dati alle autorità.
L’esperimento dell’Oklahoma potrebbe diventare un modello replicabile da altri Stati, oppure un monito sui limiti della sorveglianza tecnologica. Molto dipenderà da come verranno gestiti i dati, da quali garanzie saranno introdotte per tutelare i diritti degli individui e da come la società percepirà questo equilibrio tra sicurezza e libertà. Una cosa è certa: il confine tra supporto e controllo, quando entra in gioco l’intelligenza artificiale, diventa sempre più sottile.