Nonostante l’entusiasmo travolgente che circonda gli strumenti di intelligenza artificiale generativa per la codifica, dai copilot ai sistemi integrati, molte delle iniziative pilota avviate dalle grandi aziende stanno deludendo le aspettative. Il paradosso è evidente: si investono miliardi in soluzioni che dimostrano capacità tecniche sorprendenti nella generazione di codice, nel completamento automatico e nel suggerimento di pattern, eppure i risultati in termini di produttività misurabile e di ritorno sull’investimento (ROI) rimangono spesso marginali. La maggior parte degli analisti e degli esperti del settore concorda su un punto fondamentale: la radice del problema non è da ricercare nella sofisticazione o nell’accuratezza dei modelli di intelligenza artificiale stessi.

Questi Large Language Models (LLM) sono, tecnicamente parlando, strumenti incredibilmente potenti. Sono stati addestrati su masse sterminate di codice pubblico e sono eccellenti nel cogliere le sfumature sintattiche, nel suggerire soluzioni a problemi generici e nell’accelerare i compiti di routine. Se un progetto pilota fallisce, non è perché l’ultimo modello di AI generativa non è riuscito a scrivere una funzione in Python. Il fallimento è quasi universalmente riconducibile a una serie di frizioni organizzative, strategiche e culturali che agiscono come veri e propri freni all’adozione su larga scala.

Uno dei maggiori ostacoli è la mancanza di allineamento strategico. Troppo spesso, i progetti pilota nascono come esercizi scientifici isolati o come esperimenti guidati dal dipartimento IT, senza un collegamento chiaro e misurabile con gli obiettivi di business principali. Si assiste a una sorta di “feticismo del modello”, dove i team di ingegneri si concentrano sull’ottimizzazione di metriche puramente tecniche, trascurando la fondamentale necessità di tracciare il successo rispetto ai risultati operativi concreti, come la riduzione del time-to-market o il miglioramento della qualità del codice in produzione. Senza Key Performance Indicators (KPI) ben definiti e una roadmap chiara per la scalabilità, anche i prototipi tecnicamente brillanti rimangono bloccati in una “limbo del pilotaggio” senza mai raggiungere la fase di produzione.

A complicare il quadro, intervengono le sfide legate all’integrazione e alla governance. L’intelligenza artificiale non può essere semplicemente “montata” su processi aziendali fragili o su infrastrutture obsolete; essa, anzi, tende ad amplificare le inefficienze esistenti. I modelli di AI per la codifica, pur essendo abili, non possiedono una comprensione profonda e contestuale del codice aziendale storico, delle specifiche architetture interne, o dei requisiti di sicurezza unici di una determinata organizzazione. Questa mancanza di conoscenza specifica del dominio richiede che il codice generato venga sottoposto a un controllo manuale estensivo e a un debugging spesso più oneroso del previsto, annullando di fatto il guadagno in produttività promesso. Inoltre, l’affidamento su dataset di addestramento pubblici può introdurre rischi di sicurezza, con l’AI che involontariamente suggerisce pattern di codice contenenti vulnerabilità note o che espongono inavvertitamente credenziali sensibili.

Infine, l’elemento umano e culturale gioca un ruolo decisivo. La resistenza al cambiamento da parte dei team di sviluppo, spesso unita a una formazione inadeguata, mina il potenziale dello strumento. Molti sviluppatori non si fidano ciecamente del codice generato, e a ragione, dato che l’AI va considerata come un “programmatore junior” estremamente erudito ma privo di spirito critico e di coscienza contestuale. Affinché questi strumenti abbiano successo, è indispensabile creare una cultura di adozione che preveda guardrail di sicurezza rigidi, meccanismi di revisione del codice potenziati e una formazione che insegni ai dipendenti non solo a usare l’AI, ma soprattutto a valutarne criticamente l’output e a integrarlo nei workflow in modo responsabile. Il fallimento dei progetti pilota di AI coding non è, quindi, la condanna di una tecnologia immatura, ma piuttosto un campanello d’allarme per le imprese che devono ancora imparare a trasformare una potente capacità tecnica in un vantaggio operativo duraturo, concentrandosi sulla strategia, sui processi e, soprattutto, sulle persone.

Di Fantasy