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Ci sono interviste che segnano uno spartiacque non tanto per ciò che rivelano, quanto per le domande che pongono. È il caso del recente confronto tra Sam Altman, CEO di OpenAI, e Tucker Carlson, ex volto di Fox News e oggi commentatore politico indipendente, pubblicato il 12 settembre. Una conversazione che avrebbe potuto toccare i grandi temi del futuro dell’intelligenza artificiale e del suo impatto sociale, ma che è presto scivolata in un territorio cupo e surreale, quando Carlson ha chiesto ad Altman se avesse ordinato l’omicidio di un ex dipendente di OpenAI morto suicida nel 2024.

Altman, visibilmente a disagio, ha risposto con una frase che dice molto del clima di sospetto che circonda l’industria tecnologica: “È raro che mi venga imputato questo in un’intervista”. Non era la prima volta che si trovava a difendersi da critiche sul ruolo di OpenAI nel mercato globale dell’IA, ma certo era la prima volta che veniva associato a una presunta responsabilità diretta per la morte di un ex collega.

La vicenda al centro dello scontro riguarda Suchir Balaji, ex dipendente di OpenAI che aveva lasciato l’azienda all’inizio del 2024 e che, nell’ottobre dello stesso anno, aveva denunciato pubblicamente la società per presunte violazioni del copyright, in un articolo apparso sul New York Times. Un mese dopo, a novembre, Balaji è stato trovato morto nella sua abitazione di San Francisco. La polizia ha stabilito con chiarezza che si trattava di suicidio. Eppure, la sua morte è diventata terreno fertile per speculazioni e teorie del complotto.

Carlson ha insistito su questo punto, evocando dettagli inquietanti: segni di colluttazione, telecamere di sicurezza e linee elettriche fuori uso, un ordine di cibo mai consumato, una vacanza appena conclusa e telefonate recenti con i familiari, nessun biglietto d’addio. Secondo lui, tutto ciò rendeva “ovvio” che non potesse trattarsi di suicidio.

La narrazione si è ulteriormente alimentata con le parole della madre di Balaji, che a inizio anno era apparsa nello stesso programma televisivo per dichiarare pubblicamente che il figlio era stato assassinato. A suo dire, l’assenza di una lettera di addio e le conclusioni di esperti privati da lei consultati dimostravano la pista dell’omicidio.

Di fronte a queste insinuazioni, Altman ha ribadito la versione ufficiale fornita dalle autorità: il rapporto della polizia parla chiaramente di suicidio, e non ci sono prove che possano far pensare a un omicidio orchestrato. “È strano e triste discutere di questo – ha detto – e sembra completamente folle doversi difendere. Sembra che tu mi stia accusando.”

Carlson, pur negando di aver accusato Altman in senso stretto, ha continuato a insistere sui dettagli sospetti, trasformando l’intervista in una sorta di tribunale mediatico.

Al di là del sensazionalismo, resta il fatto che Balaji avrebbe dovuto testimoniare nella causa intentata dal New York Times contro OpenAI e Microsoft. Un ruolo potenzialmente delicato, che rende la sua figura ancora più interessante agli occhi dell’opinione pubblica. Tuttavia, diversi esperti di diritto della proprietà intellettuale hanno sottolineato come le argomentazioni di Balaji, pur rumorose, non sembrassero solide né realmente fondate sulla legge americana in materia di copyright.

L’episodio solleva molte domande, non solo sul confine tra giornalismo e spettacolo, ma anche sul peso che le teorie del complotto possono avere nell’epoca della disinformazione digitale. La morte di un ex dipendente, riconosciuta come suicidio dalle autorità, è diventata l’occasione per costruire una narrazione di ombre e sospetti che rischia di travolgere non solo la reputazione di Altman, ma anche il delicato dibattito sull’intelligenza artificiale, il suo futuro e il ruolo di chi la guida.

Di Fantasy